«La Cina deve migliorare la propria conoscenza del mondo, così come il mondo deve migliorare la sua conoscenza della Cina», con queste parole esordiva, al momento della sua investitura a segretario generale del Pcc e a presidente della Commissione militare centrale del Pcc avvenuta il 15 novembre 2012, Xi Jinping, l’uomo che pochi mesi dopo, il 15 marzo 2013, sarebbe diventato presidente della Rpc. Con queste semplici parole uno dei due capi di stato più potenti del pianeta ha voluto indicare quell’atteggiamento di apertura che potrebbe permettere una migliore ridefinizione degli assetti geopolitici mondiali nell’era della globalizzazione. In altre parole, nessuno può ignorare ormai che la Cina sia tornata ad avere in Asia quell’influenza determinante che ha caratterizzato millenni della sua storia, è bene quindi prenderne atto e agire di conseguenza, impostando il dialogo nel reciproco rispetto: cominciamo dunque con il conoscerci meglio, impariamo a confrontarci senza pregiudizi e arroganza, solo così si potrà evitare incomprensioni ed equivoci che potrebbero condurci su terreni insidiosi e aprire scenari di conflittualità.

Dovrebbe risultare evidente a chiunque la necessità di approfondire il dialogo con la Cina per capire il ruolo che quel paese ha e soprattutto avrà sullo scacchiere politico mondiale. Una necessità che diventa urgenza nel caso del nostro paese, impreparato ad affrontare il passaggio epocale in atto, che vedrà il fulcro del potere mondiale, che il secolo scorso si era spostato dall’Europa agli Stati Uniti, riposizionarsi in direzione dell’Asia Orientale. Il problema non è se questo fenomeno avverrà ma quando e come.

In quest’ottica va considerata l’esortazione di Xi Jinping e accettata la sfida di affrontare e capire un mondo che, in Italia, si conosce poco e male. Simone Pieranni, con il Il nuovo sogno cinese (manifestolibri), ci viene in aiuto, offrendoci un quadro puntuale e documentato della realtà cinese che da anni studia e commenta da laggiù, introducendoci al «sogno cinese», termine di grande impatto mediatico, ma non ben definito nei contenuti, introdotto da Xi Jinping in riferimento agli obiettivi del suo mandato di governo. Un saggio ricco di stimoli e spunti di riflessione, che ricorda un altro prezioso pamphlet apparso non tanto tempo fa, Tra poco la Cina. Gli equilibri del mondo prossimo venturo, di Davide Cucino (Torino, Boringhieri, 2012), che aveva colpito per la visione chiara e di ampio respiro (non a caso anche Cucino vive e lavora da anni in Cina). È possibile vedere ne Il nuovo sogno un completamento e una continuazione di Tra poco la Cina. Entrambi gli autori tentano di risvegliare il nostro interesse, rivolgendosi sia ai comuni lettori, sia a intellettuali e governanti, questi ultimi troppo compresi nelle loro «diatribe interne» per occuparsi di un tema di attualità la cui importanza per i nostri destini futuri è ben maggiore dell’attenzione che sono soliti dedicargli.

La Cina ha archiviato il periodo dell’umiliazione che ha segnato gli anni che vanno dalla seconda metà dell’Ottocento alla prima metà del Novecento, ha superato il blocco di chiusura e isolamento che ha caratterizzato gli anni di Mao e ha realizzato gli obiettivi fissati dalla politica di apertura e riforme voluta da Deng Xiaoping alla fine degli anni Settanta, che ha consentito il passaggio da un’economia a pianificazione centralizzata a un’economia socialista di mercato. La creazione di quella «fabbrica del mondo» che ha trasformato in pochi decenni la Cina nella seconda potenza economica mondiale consente alla dirigenza cinese di fare un ulteriore passo in avanti, il più difficile forse, quello che porterà il paese a essere presto la prima potenza economica del pianeta, con i vantaggi ma anche con le responsabilità che questo ruolo comporta.

L’ascesa al potere di Xi Jinping e dei dirigenti della «quinta generazione» ha chiuso un’era, quella di Hu Jintao e della «quarta generazione», incarnazione di una Cina che si presentava ancora incerta sulla scena internazionale, indecisa se continuare a presentarsi come un paese del terzo mondo o se rivendicare un ruolo di superpotenza, interlocutrice privilegiata degli Stati Uniti. Xi Jinping è tutt’altra cosa, con lui la Cina è uscita per sempre dal terzo mondo. I secondi, terzi e forse anche quarti mondi che pur convivono ancora al suo interno sono, per l’appunto, un affare interno, che verrà affrontato nei prossimi anni con importanti riforme strutturali, che punteranno a un maggior equilibrio nella distribuzione delle risorse e delle enormi ricchezze che sono state accumulate in questi anni, a un miglioramento della qualità della vita e a una maggior attenzione ai diritti individuali.

L’era dei tecnocrati può dirsi conclusa, gli architetti della nuova Cina hanno fatto buona parte del lavoro che si erano prefissi (anche se molto resta ancora da fare), ora la mano passa agli esperti delle scienze umane. Non a caso gli «ingegneri», che nel 2002 rappresentavano il 72% dell’ufficio politico del Pcc, sono ora ridotti al 15%. Come spiega Pieranni, la priorità è stabilizzare, intervenire per risolvere gli squilibri interni che permangono da tempi remoti o che sono stati creati dal rapido sviluppo economico, sanare le ingiustizie e sanzionare i comportamenti di funzionari e dirigenti corrotti, favorire una più ampia partecipazione popolare, la diffusione del benessere e la crescita della classe media, creando forme di welfare e di rispetto dei diritti individuali che possano garantire a un numero sempre maggiore di cinesi condizioni di vita soddisfacenti. Se negli scorsi tre decenni «il tasso di povertà è sceso da oltre il 65% a meno del 10% e 500 milioni di persone sono state sottratte dalla povertà», come sottolinea la Banca Mondiale nel suo rapporto China 2030, ora si tratta di consolidare questi «spettacolari risultati», se la Cina vuole tornare a esercitare la propria influenza su altre nazioni, rappresentando un modello a cui guardare con ammirazione e ristabilendo quel ruolo leader che ha avuto per millenni in Asia Orientale.

Molta strada resta da fare, l’Occidente ha una percezione della Cina che non sempre implica atteggiamenti positivi. Si ignora o si finge di ignorare che quegli stessi valori che i cinesi stanno faticosamente cercando di ripristinare qui da noi si stiano un po’ alla volta perdendo, che se la Cina sta uscendo dalla povertà (e parliamo di un paese con oltre un miliardo e quattrocento milioni di abitanti), noi un po’ alla volta ci stiamo entrando, che mentre il livello di istruzione in Cina sta migliorando, nel nostro paese sembra inesorabilmente destinato a peggiorare. La ricerca di base in Cina si sta sviluppando a ritmi esponenziali, tali da far entrare i suoi centri di ricerca al top dei ranking mondiali in diversi settori strategici, in Italia invece la costante riduzione degli investimenti nella scuola, nella ricerca e nella cultura, unitamente a una preoccupante assenza di politiche di valorizzazione del lavoro giovanile, ci relega a una situazione prossima al terzo mondo.