La recente tempesta abbattutasi su molte zone del nostro paese, oltre a causare decine di vittime, ha arrecato danni incalcolabili al nostro patrimonio forestale. Foreste intere spazzate via, alberi a migliaia caduti dal nord al sud dell’Italia. Questa tempesta, anomala per il periodo, definita dai meteorologi «la tempesta perfetta», sarà certamente seguita da altre.

Il cambiamento climatico – negato ormai da pochi ma ancora potenti, irresponsabili pazzi – comporta lunghi periodi di secco con fenomeni meteorici sempre più violenti a catastrofici. Non è la prima volta che accade. Assolutamente no.

In Europa, nel dicembre 1999, due impropriamente chiamati «uragani», Lothar e Martin, si abbatterono sulla Francia, regione nord e atlantica, e sulla Svizzera. I morti furono circa 150 e ci furono 140 milioni di metri cubi di legname distrutti solo in Francia, in Svizzera 13 milioni di metri cubi di legname andati persi.

Subito dopo quegli eventi, in Francia soprattutto, furono fatte serie riflessioni sulla causa di quella immane perdita di foreste. Ci vollero mesi per liberare dall’intrico di tronchi e rami le aree colpite e pensare ad un nuovo rimboschimento. In primavera, nel parco di Versailles, si vedevano ancora grossi platani giacere al suolo, radici per aria.

Le analisi più serie comportarono il riconoscimento che le foreste che meno o affatto avevano risentito del passaggio di Lothar e Martin -con venti che raggiunsero i 200 kmh – erano quelle «naturali» ovvero le foreste miste. La costa atlantica riforestata dalla mano dell’uomo, regolare, geometrica, esattamente come il parco di Versailles, aveva clamorosamente ceduto. Poche specie, piantate con regolarità tanto impeccabile che implacabile, utili agli scopi umani, industriali, edilizi o altro, non avevano retto all’urto.

Veniamo alle foreste di abeti rossi nel nostro Trentino e in Veneto. Sappiamo che molte di queste sono state piantate dopo la prima guerra mondiale per rimpiazzare le precedenti annientate dai bombardamenti. Le immagini dall’alto ci mostrano una impressionante serie di pali, uno addosso all’altro. Sappiamo che, esattamente come in Francia, tante di queste nostre foreste sono frutto di un rimboschimento volto a soddisfare necessità umane.

Il Cadore, dato storico, serviva alla Serenissima, alla Repubblica di Venezia che necessitava di conifere per diversi ordini di ragioni. I pali sui quali la città stessa poggia, le sue fondamenta, la necessità di mantenere la flotta, gli abeti, i pini utili sia per il fasciame che per fornire la trementina utile a calafatare gli scafi. Se nell’Inghilterra del Cinquecento non si trovava più una sola quercia centenaria – per un galeone ne occorrevano diverse migliaia, per un vascello settecentesco o ottocentesco ci volevano circa ottomila querce – la Repubblica Veneta viveva del mare ed una flotta divora legname.

Non si può continuare e perseverare nella logica che il rimboschimento debba avvenire ai soli fini delle necessità umane. Il cambiamento climatico epocale in atto, studiosi autorevoli parlano di era dell’«Antropocene», la nostra era, quella dove la specie umana con le sue attività agricole, industriali, i trasporti di massa, ha immesso più CO2 e più rapidamente di quanto nella lunga storia del Pianeta sia mai avvenuto.

Dopo le tempeste del 1999, in Francia, autorevoli studiosi discussero e si confrontaarono su come si debbano concepire le nuove foreste da mettere a dimora. Certamente su questo concorderanno tutti: stop alle colture monovarietali.

Imparare dalle foreste primarie ancora esistenti, e osservare dalla natura come un bosco non sia e non possa essere una serie regolare di alberature della stessa specie, piantate nello stesso periodo e secondo la stessa geometria. Queste , nei fatti, hanno fallito. Si sono schiantate. Si tratta non di un affare che riguarda i soli dottori in scienze forestali ma noi tutti, noi tutti che abbiamo un disperato bisogno di foreste durevoli, sostenibili, perché gli alberi, qualora non vengano giù alla prima tempesta, assorbono e trattengono la CO2. Gli alberi, mitigatori degli effetti distruttivi del cambiamento climatico in atto.

I firmatari di questo appello, ecologisti, agricoltori biologici, associazioni, riviste, giornali, si rivolgono a tutte le autorità competenti perché sia aperto un tavolo di lavoro. Perchè su questi temi venga sentita la popolazione. Perché non sia nelle mani dei soli agronomi e ditte di vivaisti il necessario rimboschimento, ma si discuta e si rifletta, come è stato fatto in Francia quasi venti anni fa.

Quanto alle cadute di alberi nei centri urbani, non sono gli alberi gli «assassini», irresponsabile è il modo in cui gli alberi vengono trattati. Non diciamo che il vento eccezionale non ne avrebbe abbattuto nemmeno uno se curati in maniera diversa, ma certamente non ha funzionato la scelta delle essenze, il modo di capitozzarli irresponsabilmentee la scelta di potarli nella stagione sbagliata. Chiediamo che gli alberi vengano curati responsabilmente e che non sia il profitto la base d’asta al ribasso, la chiave della gestione del nostro patrimonio arboreo.

Abbiamo necessità assoluta degli alberi, senza le nostre città non respirerebbero, non avremmo ombra nell’estate, non avremmo un paesaggio degno del nome senza una cura e presenza di alberi.

Un appello per una nuova presa in carico del verde pubblico, per una gestione con l’assunzione di pratiche agro-ecologiche e non più solamente produttiviste ed industriali delle nostre foreste, siamo certi che comporterà indubbi vantaggi a tutta la comunità e saprà limitare i danni e gli sconquassi visti sin ora. Per nuove pratiche di riforestazione, per la presa in esame dei boschi misti e ricchi di sottobosco, per una scelta di essenze autoctone le più tenaci e resistenti, per un coinvolgimento delle comunità locali nella politica forestale del nostro paese, per un ascolto nelle sedi opportune di tutte le intelligenze, per la messa in campo delle energie finora inascoltate e per dare ai boschi tutta la cura e l’importanza che meritano.

Questo articolo-appello sarà diffuso e fatto circolare , per la prima volta, a Rasai di Seren del Grappa, nel Bellunese, proprio nell’area sconvolta recentemente in occasione dell’evento «Chiamata a raccolto» organizzato dalla associazione Coltivar Condividendo nei giorni 17 e 18 novembre.