«Quasi non sappiamo più quanto profondamente la musica permeasse ogni aspetto della vita pubblica e privata dei Greci; quasi abbiamo dimenticato che le tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide erano drammi in musica, e che quando leggiamo Pindaro e gli altri poeti lirici dobbiamo immaginare i loro testi non “accompagnati” dalla musica, ma intrisi di musica, pensati con la musica e per la musica (…) Il potere della musica nella città greca era ritenuto così grande, che i diversi generi della musica furono non solo codificati, ma anche associati a valori etici e civici che si ritennero costitutivi della natura stessa del cittadino, della vita associata nella polis, del rapporto fra le varie generazioni all’interno della società» (Salvatore Settis, dal saggio La musica perduta dei Greci, 2002). Visitando la mostra Klangbilder. Musik im antiken Griechenland («Immagini sonore. La musica nella Grecia antica»), aperta all’Altes Museum fino al 3 luglio 2022, ho ripensato alle parole di Settis, che avevo scelto come proemio dell’esposizione Suoni silenti. Immagini e strumenti musicali del Civico Museo Archeologico di Milano (2011-’12).
Nonostante le innegabili perdite, da almeno vent’anni la conoscenza degli spazi sonori delle musiche dei Greci è avanzata in modo significativo, grazie ad analisi delle fonti archeologiche, epigrafiche, storiche, letterarie focalizzate sui temi musicali, a nuove riflessioni teoriche su notazione musicale e suono, alle scoperte, all’adozione di proficui approcci multi e interdisciplinari, all’eccellente lavoro di gruppi di ricerca come EMAP (European Music Archaeology Project) e MOISA (The International Society for the Study of Greek and Roman Music and its Cultural Heritage). La mostra berlinese si inserisce a pieno titolo in questo percorso, forte di materiali archeologici e papiracei di straordinaria importanza conservati nell’Altes Museum. Tra le colonne ioniche della facciata dell’edificio, un drappo rosso-arancio annuncia Klangbilder affidandosi a una figura emblematica della musica greca: Orfeo. La parziale iconografia è tratta dal cratere del Pittore di Orfeo (450-440 a.C.) esposto in mostra, nel quale il musico suona, rapito, la mitica lyra, mentre i Traci, a lui vicini, si abbandonano a un ascolto estatico. L’immagine del proverbiale incantamento (epode) della musica orfica è una delle splendide Klangbilder, latrici dello stratificato, composito e duraturo orizzonte musicale della Grecia (attica, corinzia, beotica, microasiatica, magnogreca, siceliota), dall’età arcaica all’ellenismo, delle sue molteplici melodie (dorica, eolica, ionica, lidia, frigia) e delle eredità, raccontate da pezzi straordinari come il marmoreo Apollo citaredo da Villa Adriana (125-150 d.C.): chiaro ed esemplare segno della durevole centralità della musica e dell’arte delle Muse – di cui Apollo era signore – al tempo del filelleno imperatore Adriano.
Come noto, il nome delle figlie di Zeus è insito nella parola musica, precisamente in mousike techne, arte delle Muse, l’insieme di musica, danza, poesia che i Greci consideravano strumento essenziale per diffondere e trasmettere il sapere. Alla Kunst der Musen la mostra berlinese dà doveroso spazio indagando in particolare la funzione soterica del suo potere con le iconografie di Apollo Musagete e di Orfeo, ma anche il lato oscuro e sinistro, attraverso la vivida scena odissiaca di un cratere da Paestum (350-325 a.C.), che ha per protagonista il fascino mortifero delle Sirene.
In Grecia, tutto era in musica: vita privata, comunitaria, feste pubbliche, guerra; ogni sfera d’azione, di pensiero, emozione, ogni evento aveva sonorità distintive e specifici strumenti musicali. Klangbilder ripercorre questi variegati paesaggi sonori e le loro caratteristiche con una meditata disamina di temi e approfondimenti, tra i quali un focus sulla musica nello spazio pubblico del teatro. Qui predominava lo strumento dionisiaco antonomastico, l’aulos (‘tubo’), aerofono ad ancia semplice o doppia che poteva essere suonato anche accoppiando due ‘tubi’. Un esempio è nella pelike attica (470-460 a.C.) con auleta che accompagna un coro tragico di menadi esaltate dal compimento dello sparagmos, dello smembramento di un animale. Per la sua capacità di esprimere e suscitare più emozioni, e potendo essere suonato anche da non professionisti, l’aulos fu adottato in vari contesti e a lungo nel tempo, come indica il calco di un aulos in bronzo del II secolo a.C. rinvenuto a Pergamo – l’originale è al Museo Puškin di Mosca, lì portato dopo la II guerra. Dalla metropoli ellenistica, che a Berlino rivive nell’installazione a 360 gradi Das Panorama di Yadergar Asisi e nel Pergamon, provengono anche kymbala bronzei, della famiglia degli strumenti a percussione, i cui suoni accompagnavano schemata di danze cultuali, specie delle frenetiche dionisiache.
Il binomio musica-danza, benedetto dalle Muse e richiesto dai culti, è affrontato anche rispetto alla paideia: una giovane sulle mezze punte, concentrata sul doppio aulos di una suonatrice, che batte il ritmo con il piede, danza in uno spazio privato, di tipo scolastico, nel cratere apulo del Pittore della Danzatrice di Berlino (440-430 a.C.). Con esercizio, attenzione, ascolto si acquista professionalità. Parla di questo anche la nota kylix di Douris (480 a.C.), una sorta di proto-cortometraggio girato in una scuola modello, animata da pedagoghi e allievi che, tra e con strumenti a fiato e a corda, sono tutti immersi nella comune philia per la musica.
Come gli uomini di Douris, i visitatori di Klangbilder possono condividere, nella sala della mostra, il desiderio di conoscenza delle musiche dei Greci e, grazie a una postazione multimediale, quello di ascoltare suoni perduti per merito di tentativi di reenactment, come quelli di Stefan Hagel, suonatore di aulos e cordofoni e studioso – fondamentale il suo Ancient Greek Music. A New Technical History (Cambridge University Press 2009).