Per gentile concessione della casa editrice Isbn pubblichiamo un’anticipazione dal libro Atlante dei mondiali curato da Massimo Coppola.

Il rigore di Francesco Totti al 93° minuto di Italia-Australia, 26 giugno, ottavi di finale del Mondiale 2006 al Fritz-Walter-Stadion di Kaiserslautern. Per me è una parola sola. Tre parole, va’. E quasi si farebbe prima a rivedere la scena su YouTube che a pronunciarle tutte, se con un colpo di protagonismo l’arbitro Luis Medina Cantalejo non chiedesse al numero 10 di arretrare la palla che è già ferma sul dischetto in attesa della battuta. Di seguito: sorrisetto di Totti, inquadrato perfettamente dalla stessa telecamera che si appresta al primo piano stretto degli occhi. Come nei western di Sergio Leone, il regista romano e romanista che andava allo stadio con Ennio Morricone.

E così, il duello Totti vs Schwarzer dura poco meno di un minuto. Un’eternità in quelle condizioni.

http://youtu.be/viVqhzcjQSQ

Il Fritz-Walter-Stadion sta in cima a un collina alla periferia sud della città, al confine con la foresta. Rimesso a nuovo per il Mondiale oggi conta quasi 50 000 posti. Ne aveva meno della metà prima che un architetto ci facesse cadere sopra un cubo di cemento grigio. Dentro, gli alti gradoni bianchi, le vecchie ringhiere, le sedioline di un rosso immacolato raccontano la sua lunga storia. Le strade che ci arrivano iniziano tutte dietro la stazione dei treni e si chiamano Kant, Hegel, Lessing. La collina si chiama Betzenberg ma per tutti è la «Collina dei Diavoli». I Diavoli sono i giocatori della squadra di casa, il Kaiserslautern, della quale Fritz Walter è stato e per sempre sarà santo nume protettore. Ex prigioniero di guerra, interno sinistro in campo, vinse il Mondiale della rinascita tedesca nel 1954 con la fascia di capitano sotto la pioggia di Berna contro la «Grande Ungheria». Da allora quando piove si dice: «Tempo da Fritz Walter». Due scudetti col suo piccolo club, negli anni cinquanta. Sposato a un’italiana di nome Italia, non lasciò mai la sua città nonostante lo volessero Helenio Herrera a Madrid e pure il Saint-Étienne. A Kaiserslautern aprì un cinema e una lavanderia.

Leggerò sul giornale che quando Totti ha segnato il gol che ci porta ai quarti di finale, Bruno Conti in tribuna al Fritz-Walter-Stadion nel parapiglia buttava via il telefonino. Le sei e mezza di sera. Tanto, a quell’ora ti chiamano solo rompicoglioni. «Abbiamo dei grandi attributi» dice Buffon in un’intervista volante. Io sto dalla parte di Bruno Conti, campione del mondo 1982: al Fritz-Walter-Stadion ho toccato con mano la follia di questo spettacolo, la fragilità di questa sacra rappresentazione.

[do action=”citazione”]E voglio tessere l’elogio non degli attributi, ma della debolezza, del caso, dell’errore, dell’incertezza[/do]

La partita non valeva niente: il goleador non ha segnato, il difensore tatuato si è fatto buttare fuori, i rincalzi non hanno dato il risultato sperato, i fascistelli di Ultras Italia sulle tribune con le loro bandierine tricolori e, in caratteri runici, il nome delle loro cittadine sfigate mi facevano sinceramente schifo, gli schemi in campo si sono annullati a vicenda fino a sciogliersi come neve al sole. La partita (non) è stata giocata apposta perché l’uomo col numero 10 sulle spalle, che all’inizio della sua carriera in Nazionale – quando ancora non aveva vinto niente ma non aveva neppure perso niente, insomma era l’Innocenza personificata – je fece er cucchiaio, potesse ripresentarsi sul dischetto.

Francesco Totti. L’uomo che porta il numero 10 sulle spalle è sceso in campo alquanto rappezzato. Da qui l’uso nella retorica basic dell’opinionismo sportivo di espressioni quali: «Totti al Mondiale? Anche su una gamba sola». Si è fratturato il perone e scassato i legamenti della caviglia in una partita di campionato di metà febbraio. Il telegiornale ha trasmesso in diretta le prime ore del suo ricovero. Al capezzale si sono visti prima il presidente del Consiglio Berlusconi, poi il sindaco di Roma Veltroni. Di nuovo in piedi e – secondo la vulgata popolare «con due chiodi lunghi così nella gamba» – il numero 10 è andato al Festival di Sanremo con le stampelle, e lo hanno fatto sedere in prima fila. Alla fine della serata si è fatto riservare un tavolo al Casinò dove ha vinto 10 000 euro alla roulette. Due mesi dopo, maggio del 2006, va in onda lo spot televisivo per la campagna «Life is now» della Vodafone. Lui chiude recitando il claim in anglo-romanesco, lingua marchiata a fuoco nel suo Dna. In generale, nei lunghi mesi di degenza e recupero, la sua reputazione ha fatto un balzo notevole, nonostante il cliché secondo il quale per i romani Totti è poco meno che un dio sceso dal Pantheon, mentre per i non romani è prima di tutto un romano.

Il rigore c’era? A pochi secondi dallo scadere del tempo di recupero, mentre le squadre tentano di piazzare la stoccata finale (in alternativa si andrà ai supplementari, forse ai rigori e magari all’inferno), Totti dal cerchio di centrocampo vede salire il terzino Grosso e apre verso la fascia sinistra.

L’Australia, allenata da un maestro di tattica come l’olandese Hiddink, è già piazzata come da lavagna: 3-4-1-2. Il pallone supera la linea dei centrocampisti, i due centrali tardano a scalare verso la propria area, forse restano in posizione per tentare l’ultima ripartenza. Grosso lascia rimbalzare il pallone e sbilancia il terzino australiano Mark Bresciano che è costretto a seguirlo, in ritardo, fino al limite dell’area dove è di nuovo superato e atterrato da un repentino cambio di direzione. Il numero 5 Neill, in posizione di libero, lascia allora la marcatura su Iaquinta e corre verso Grosso. Al limite dell’area piccola alza la gamba destra per intercettare l’eventuale traversone in area verso il nostro centravanti, che non arriva. Sullo slancio tenta il tackle. Grosso cambia ancora direzione. Neill ora è a terra, quasi tra le gambe del terzino che cerca di concludere il movimento ma inciampa sulla schiena dell’avversario (il replay mostrerà il movimento sospetto di un gomito), e cade.

«Rigore netto.» «Non era rigore.» I commentatori di Sky si correggono più volte, in diretta e dopo aver guardato il replay. «Danno procurato» concede infine Fabio Caressa, che è esperto conoscitore dei regolamenti del calcio. Ma quanto è romano, Totti? Più o meno come un reperto archeologico condannato a fare da spartitraffico. Lui nelle interviste ripete da anni che avrebbe voglia di fare una passeggiata in via del Corso (secondo l’uso dei ragazzi di Roma Sud degli anni Ottanta, rovesciati nel centro storico dalla nuova linea della metropolitana), ma se ne tiene lontano per non causare tumulti di piazza. A via Vetulonia, casa sua nel quartiere Appio Latino enorme e trafficato, ci passa qualche volta in macchina, «ma non ci stanno più i vecchi amici, perciò…». Perciò. Messo alle strette, ci scherza sopra ma non troppo: «Roma non la conosco più tanto bene».

[do action=”citazione”]Se sbaglia, sbaglia lui. Se segna, segniamo tutti[/do]

La solitudine del numero 10 sul dischetto del rigore, perso nell’universo, nella luce accecante di un pomeriggio di sole mondiale, a Kaiserslautern, è abissale. Se sbaglia, sbaglia lui. Se segna, segniamo tutti. «Quando sento l’espressione “danno procurato” mi viene da ridere» commenterà l’arbitro Collina due anni dopo, in occasione di un raro incontro con la stampa. «È un falso storico, non esiste nel regolamento» dice Collina in quell’occasione. E gli si può credere. Nelle stesure ufficiali e relative traduzioni della Law 12 che definisce i falli, le condotte antisportive e le relative punizioni, si fa riferimento alla «negligenza», all’«imprudenza», alla «vigoria spropositata» di chi commette il gesto falloso (vedi il regolamento ufficiale del calcio in pdf). Mai e poi mai al «danno procurato» che pure ha l’aria icastica di un’espressione giuridica, e invece non lo è. Eppure ancora oggi Google indirizza – chissà perché – sul sito italiano di un arbitro dilettante già attivo in quel 2006, dove si trova un riassunto schematico del regolamento del calcio e altre cose ancora: proprio qui si ritiene utile aggiungere ai tre sostantivi usati nella definizione ufficiale l’espressione «che in ogni caso portino a un danno procurato». Nonostante l’ambiguità della formulazione, neppure questo a dire il vero significherebbe ciò a cui alludono Caressa e dopo di lui (anzi, per colpa sua) parecchi altri tifosi ed esperti: cioè un danno involontariamente procurato.

Nulla è involontario nei gesti proibiti dal regolamento del calcio, neppure il fallo di mano in area. Tutto è, invece, maldestro, eccessivo, fuori controllo. Altre spiegazioni della fortuna di un’espressione come «danno procurato» non ce ne sono. E se questo è il Mondiale di Totti questo è il momento

la partita è già finita
Totti contro Schwarzer
Francescoooooooo
Totti Totti Totti Totti Totti Totti Totti Totti Totti
Totti
uno a zero di precisione e potenza
è andato deciso ha battezzato l’angolo
non c’è stato nulla da fare tirato benissimo
cinquanta minuti sul cronometro cinquanta minuti sul cronometro non facciamoci ammonire
è finita è finita

(Fabio Caressa/Beppe Bergomi)

Una storia interessante. Nel 2001, una delle prime campagne di subvertising politico mai viste in Italia lancia in rete la parodia dei manifesti 6×3 con i quali Berlusconi sta incendiando la campagna elettorale. «Un impegno preciso: meno tasse per tutti». Totti ne è assoluto e involontario protagonista con lo slogan «Meno tasse per Totti».

Nel 2002 il giocatore era stato testimonial di una macchina pochissimo fortunata della Fiat, la Stilo. Nel 2003, con una delle maggiori operazioni di riposizionamento sentimentale mai viste in Italia, Costanzo e Veltroni tengono a battesimo Tutte le barzellette su Totti, nel quale il permaloso capitano giallorosso firma con grande ironia (non sapremo mai quanto calcolata, quanto no) le battute (tutte scemissime) che gli fanno la caricatura. In realtà le raccoglie Marco Giusti usando amici e conoscenti. Qualcuna la inventa, posso testimoniare, ma non esistono ancora Facebook e Twitter e la dimensione «social» della cosa è del tutto artigianale. Il libro, come le vecchie raccolte sui carabinieri (anni settanta, pubblicate da editori underground di estrema sinistra) ma con la faccia e firma di Totti in copertina, è un successo editoriale senza pari.

Grosso ha simulato? Si è lasciato cadere studiatamente per guadagnare un rigore ed evitare alla squadra il tormento dei tempi supplementari (e poi, eventualmente, dei rigori)? Oppure è semplicemente inciampato sull’avversario che era troppo vicino, con le forze che gli venivano meno? E, nel caso, cos’avrebbe fatto? Avrebbe tirato? (Sarà suo il primo gol della semifinale contro la Germania.) O avrebbe passato a Iaquinta, completamente smarcato perché anche il terzo difensore dell’Australia ab- bandona la posizione e si prepara a difendere la porta? Iaquinta avrebbe segnato? Da due passi a botta sicura? Il portiere australiano che avrebbe fatto? Avrebbe tentato l’uscita, un tuffo sulla sua sinistra con un colpo di reni prodigioso?…

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[do action=”citazione”]Una partita di calcio non è mai raccontabile come una linea retta. È un gomitolo di possibilità[/do]

Una partita di calcio non è mai raccontabile come una linea retta. È un gomitolo di possibilità, un corridoio di porte aperte lungo come in un incubo, un infinito what if che ti rigirerà nella testa ogni volta che rivedrai le immagini, ancora stupito del fatto (o del caso) che la Realtà è stata quella, e non un’altra, altrettanto probabile. Il bilancio delle esibizioni di Francesco Totti con la Nazionale: una finale persa agli Europei di Francia, un’espulsione per (presunta) simulazione in Corea del Sud, un’espulsione con ignominia per sputo vero al mediano avversario agli Europei di Portogallo. Al Mondiale di Germania gioca, lo abbiamo detto, su una gamba sola. Con Alex Del Piero, insieme al quale vive l’ultimo dei veri grandi dualismi italiani (Mazzola-Rivera, Baggio-Vialli eccetera), Totti è il simbolo di una generazione calcisticamente buona, capace di colpi di tacco, ma nessun colpo vero. L’ombroso Pirlo ne condivide per buona parte la filosofia. Schierati a centrocampo – il falso nove e il falso mediano – fanno girare la palla in un estatico vortice di nulla.

E poi c’è il cucchiaio. Un calcio di rigore segnato così al portiere olandese Van der Sar durante i rigori della semifinale dell’Europeo 2000.

Il dialogo a tre nell’attesa dell’inizio del rito, suona così: Di Biagio: «A Francé, io c’ho ’na paura». Totti: «Eh, a chi lo dici, ma hai visto quant’è grosso quello [il portiere, NdA]?». Di Biagio: «Ah, così m’incoraggi?». Totti: «Nun te preoccupà, mo je faccio er cucchiaio». Maldini: «Ma che sei pazzo? Siamo a una semifinale degli Europei!». Totti: «Se, se, je faccio er cucchiaio!». Di Biagio, inseguito dal fantasma del rigore sbagliato due anni prima nei quarti di finale mondiali contro la Francia, segnerà il suo alto e forte. Maldini, timoroso, lo sbaglierà. Totti entrato in campo solo all’83° per scelta catenacciara dell’allenatore Zoff, je farà er cucchiaio. Per la cronaca, l’eroe della serata è il portiere Toldo, che a conti fatti di rigori in tutta la partita ne ha parati tre.

Ma il cucchiaio di Totti è lo strappo nella tela, il gesto leggero e beffardo di uno che aveva qualche conto da regolare col mondo intero. Niente a che fare con il freestyle brasiliano caro agli spot virali della Nike, ma neppure con l’arancia palleggiata da Maradona in un lontano passato. Non è giocoleria da ragazzini.

Stanno tutti, i colpi di Totti, dentro la vecchia tradizione del calcio giocato sul campo: il tacco, lo scavetto e il cucchiaio, il tiro al volo, il lancio di prima al compagno senza guardare. Sono colpi per la squadra, per il pubblico, per se stesso, in quest’ordine.

Prima di salire al Fritz-Walter-Stadion avevamo mangiato in compagnia di Gianni Mura in una tavola calda cinese di pochissime pretese. Lui un pollo triste. Io e Matteo, gli inviati del manifesto squattrinati e fuori posto, un’anatra al latte di cocco. Lui piacevolmente stupito da tanta audacia. Noi abbastanza sazi. Al caffè, avevamo ascoltato con una certa soddisfazione certe bonarie rampogne tecniche del Maestro, tipo: «Ribéry è un Gasbarroni più continuo». E: «Se il Portogallo avesse un Pellissier vincerebbe i Mondiali». Stupore nostro quando, a notte fonda, sull’affollatissimo regionale Dortmund-Colonia, il Maestro tirava fuori la Settimana Enigmistica e, in un bagno di sudore, imperturbabile, compilava d’un fiato il cruciverba più difficile.

Italia-Francia, la finale, sarà la partita dei nervi scoperti. Italia-Germania, la semifinale, la partita perfetta: quattro punte in campo ai tempi supplementari e due gol magnifici, lo stadio di Dortmund muto e in lacrime a parte l’unica fila di giornalisti italiani sui trespoli della tribuna stampa che cercano di rimettere assieme gli effetti personali volati via nei festeggiamenti per il gol di Grosso e per quello di Del Piero.

Ma, di quel Mondiale 2006, Italia-Australia resta la mia partita del cuore. Un solo tiro di destro, diritto e forte. Francesco Totti. Nell’angolo alto alla destra del portiere, che pure si era buttato dalla parte giusta. «Il cucchiaio? C’ho pensato, sì. Ma faceva troppo caldo.» Questo dichiarerà il numero 10, dopo.