«Fotografare è collezionare il mondo», asserisce il portoghese Edgar Martins. Ma se si osservano i suoi scatti – notti urbane, luoghi industriali disabitati, algoritmi misteriosi, silhouettes oscure che si stagliano sfidando il buio – quel mondo/soggetto di un possibile mosaico finisce per essere una enorme incubatrice della solitudine, lo spazio immaginario dell’isolamento presente e futuro. Così, anche quando il volume Civilization cerca di interpretare questa parola di difficile collocazione concettuale (in quanto per sua costituzione centrifuga e insieme centripeta, calamitando a sé molteplici significati) nella sezione «Controllo» (autorità, restrizioni, governo, militarizzazione) le fotografie in realtà rimandano a una landa desolata,...