Venerdì 11 maggio, il grande fisico Richard Feynman avrebbe compiuto cento anni. È stato uno degli scienziati più popolari del secolo. Insieme a Julian Schwinger e Sin-Itiro Tomonaga, vinse il premio Nobel per la fisica nel 1965 per le ricerche sull’elettrodinamica quantistica, cioè sulle leggi che governano le interazioni tra le particelle elementari e la luce. Ma in carriera si dedicò a tutte le forze fondamentali della natura, fino ai quark e alla gravità. In un sondaggio della rivista Physics World, i colleghi lo inclusero tra i dieci fisici più importanti della storia, al settimo posto dopo Galileo Galilei e prima di Dirac.

NATO A NEW YORK da una famiglia ebrea, Feynman ha dato un contributo notevolissimo alla fisica del Novecento. Oltre alle sue azzeccate previsioni teoriche su fotoni ed elettroni, ci ha lasciato in eredità una cassetta degli attrezzi imprescindibile per qualunque ricercatore. Ogni studioso delle interazioni fondamentali oggi utilizza i cosiddetti «diagrammi di Feynman» per capire cosa succede quando le particelle interagiscono tra loro. Allo stesso tempo, i «diagrammi» sono uno strumento di calcolo matematico indispensabile e una visualizzazione grafica potentissima. Quando, negli anni ‘50, Feynman spiegò le regole dei suoi «disegnini» (li definiva così lui stesso), rivoluzionò il campo. Un segmento continuo rappresentava un elettrone, uno ondulato un fotone, i bosoni W e Z corrispondevano a linee tratteggiate, e per calcolare la probabilità di un certo fenomeno fisico bisognava capire come questi elementi base potevano combinarsi. Nei laboratori di fisica delle particelle, i calcoli si fanno ancora così. A fine carriera si dedicò allo sviluppo dei calcolatori, e anticipò l’avvento delle nanotecnologie e dei computer «quantistici», immensamente più veloci di quelli che usiamo oggi.

Come racconta la migliore biografia di Feynman, quella scritta da James Gleick, i «diagrammi» addirittura infastidivano gli scienziati più anziani, convinti che i giovani avessero a disposizione un’arma difficile da controllare – stiamo parlando di un modo di calcolare gli integrali, non di una moto da corsa. Anche per il coetaneo Schwinger, «come i chip di silicio negli anni più recenti, i diagrammi di Feynman hanno portato il calcolo alle masse», e rappresentano «pedagogia, non fisica». Schwinger non intendeva complimentarsi, ma forse raccontò meglio di tutti l’impatto della nuova tecnica matematica.

Pochi fisici sono stati altrettanto capaci di diventare personaggi pubblici nell’era della comunicazione di massa. Oltre a lui, si citano i soliti Einstein, Sagan o Hawking, oppure fenomeni nostrani come Margherita Hack e Carlo Rovelli. Hawking, Hack e colleghi hanno raggiunto la fama soprattutto in quanto abilissimi divulgatori del loro campo di ricerca, e solo in seguito l’attenzione si è spostata sulle loro biografie. Einstein, invece, se la conquistò con le scoperte.

Il caso di Feynman, invece, è anomalo. Oltre ad essere uno scienziato di prim’ordine, è quello che più si è impegnato nell’insegnamento della fisica, cosa diversa dalla divulgazione. Dal punto di vista editoriale, il suo maggior successo è un manuale, le Feynman Lectures on Physics. Un libro di testo introduttivo ma niente affatto divulgativo, amatissimo dai fisici (lo possiedono quasi tutti) per la brillantezza e l’originalità, ma ritenuto troppo difficile per essere adottato nelle università. È la trascrizione fedele del suo corso di fisica all’Università Caltech di Pasadena, in California: lezioni preparate in maniera maniacale, con esempi geniali e un’esposizione teatrale, ma senza perdere un briciolo di rigore teorico. A Caltech, dove rimase dal 1952 alla morte, fu un insegnante amatissimo.

AL DI LÀ DEGLI STUDENTI, la fama di Feynman è invece legata al suo personaggio geniale e politicamente scorretto. Il grande pubblico, infatti, lo conosce soprattutto per un’autobiografia scritta in due parti in cui di fisica si parla poco o nulla, Sta scherzando, Mr. Feynman! (Zanichelli) e Che t’importa di ciò che dice la gente? (Adelphi). I due libri portano entrambi nel sottotitolo «avventure di uno scienziato curioso». Effettivamente ciò che ha trasformato Feynman da grande scienziato a mito è la sua insaziabile curiosità, che lo portava ad assumere posizioni politicamente scomode e a dedicarsi con lo stesso rigore a hobby inconsueti per un fisico teorico.

Feynman si era fatto notare già durante gli anni della guerra. Era stato tra i primissimi e più giovani collaboratori del segretissimo «Progetto Manhattan», in cui gli scienziati misero a punto la bomba atomica di Hiroshima. A Los Alamos, nel deserto in cui si svolgevano le ricerche, Feynman stupiva tutti per irriverenza sia dentro che fuori i laboratori. Fece ammattire gli agenti che controllavano gli scienziati, perché si divertiva a aprire le cassaforti in cui venivano nascosti i segreti militari. Scriveva lettere in codice alla moglie (che morì di tubercolosi proprio in quel periodo) regolarmente scambiate per spionaggio tanto che l’Fbi accumulò un nutrito dossier su di lui all’epoca del maccartismo. In realtà, Feynman non aveva nulla della spia sovietica. Era iscritto alle liste degli elettori repubblicani, non nutriva alcuna fiducia nei governi e al momento del servizio militare (quando era già uno scienziato famoso) fece il matto fino a farsi riformare per ragioni psichiatriche.

La curiosità di Feynman lo portò anche a suonare professionalmente la frigideira (uno strumento musicale simile a una padella) al carnevale di Rio, i bonghi nelle foreste, a testare sostanze allucinogene, diventare un artista apprezzato con lo pseudonimo di Ofey, frequentare i locali di striptease senza nascondersi. Abitudini anomale che oggi sarebbero giudicate meno teneramente.

IL SECONDO MATRIMONIO finì per gli atti di «estrema crudeltà» sul piano fisico e psicologico inflitti alla moglie e confessati dallo stesso scienziato. Le relazioni con le studentesse di Caltech, alle quali però nascondeva il suo status di professore, non sarebbero ammesse nelle università attuali, né le sue richieste di posare per dei nudi. Le femministe lo contestavano già in vita, in ogni caso. Come lui stesso racconta in Che t’importa di ciò che dice la gente?, non gli perdonavano il ricorso ai luoghi comuni maschilisti nei suoi esempi, come quello della donna al volante che discute di velocità con un poliziotto che la multa, e glielo comunicavano interrompendo le sue conferenze.

L’insofferenza per l’autorità durò fino agli ultimi anni, quando Feynman ebbe un ruolo di primo piano nella commissione Rogers che indagò sull’esplosione dello Shuttle del 1986: vi persero la vita sei astronauti e un’insegnante, Christa McAuliffe, la prima docente destinata a volare nello spazio. Fu proprio Feynman a scoprire cosa non andasse in alcune insignificanti guarnizioni di gomma e a rivelare la catena di errori organizzativi che aveva portato la Nasa a un disastro che poteva essere evitato. Feynman dovette minacciare di cancellare la firma dalla relazione finale per ottenere che i dettagli più scomodi non fossero censurati da Rogers.

LA STESSA VIVACITÀ intellettuale, tuttavia, non lo avvicinò mai alla filosofia, tantomeno alla filosofia della scienza. Considerava un sintomo della crisi di mezza età le riflessioni sul ruolo della scienza nella società, e riteneva che i filosofi della scienza fossero utili agli scienziati «quanto gli ornitologi sono utili agli uccelli». Attribuì al matematico John Von Neumann il consiglio di non sentirsi responsabili del mondo in cui si vive: «dopo quel consiglio ho sviluppato un potentissimo senso di irresponsabilità sociale, e da allora sono stato un uomo felice», scrisse Feynman. Tale leggerezza deve averlo aiutato non poco, soprattutto quando molti suoi colleghi riflettevano sul ruolo avuto dalla scienza nel conflitto mondiale e nella guerra fredda.

Con la stessa facilità poteva accettare inviti dall’Urss e poi declinare su consiglio governativo, sottrarsi all’esercito simulandosi folle ma dedicarsi a tempo pieno a una commissione di inchiesta sulla Nasa, farsi beffe della censura militare ma votare per Eisenhower alle elezioni presidenziali. Morì a 69 anni di tumore nella sua casa californiana e adesso è sepolto a Mountain View, a due passi dai laboratori in cui Google sperimenta i computer quantistici che lui aveva previsto. Oggi gli avrebbero chiesto consiglio in tanti, da Trump in giù. Quanto si sarebbe divertito.