Per Trono di Spade è l’inizio della fine. L’incipit della stagione che dovrà tentare di riannodare i molti fili di una matassa bella fitta (il primo di sei episodi lo vedremo su Sky Atlantic lunedì 15 aprile alle 22.15, ma i nottambuli potranno vederlo in contemporanea con l’America domenica notte alle 3), sarà prevedibilmente improntata alla convergenza di personaggi e alle riunioni a lungo attese dopo annose peregrinazioni. Su Westeros regna una di quelle calme tese che precedono le battaglie: ora che schieramenti ed alleanze sono più o meno definiti è tempo anche delle ultime rivelazioni, ricongiungimenti, colpi di scena e regolamenti di conti – delle risposte insomma alle domande che hanno ossessionato gli appassionati per quasi un decennio, e per gli showrunner David N Benioff e DB Weiss, dell’arduo compito di tenere testa alle supposizioni e le dietrologie dei fan che sono parte integrante di questa saga.

INTANTO i due hanno presieduto la prima monumentale della serie davanti a 6 mila «intimi» nel cavernoso auditorium del Radio City Music Hall di New York, preceduta da una grande riunione di famiglia: quando sul palco sono saliti una quarantina di membri del cast assieme a George RR Martin, autore dei libri che hanno messo tutto in moto. E con lo scroscio della standing ovation c’è stato il senso tangibile della fine di un era. «È stato straordinario», ha detto Emilia Clarke (alias Daenerys Targaryen) quando le abbiamo parlato l’indomani.
«Soprattutto vedere ed ascoltare dal vivo le reazioni di un pubblico, cosa che solitamente non ci è dato di fare. Sentire le risate e i sussulti e le urla è stato..improvvisamente mi sono resa conto che era la fine». «È vero, è il proseguimento della fine», Kit Harington concorda con l’amica Emilia Clarke (dopotutto Jon Snow e Daenerys sono ormai alleati ed amanti – e forse qualcos’altro ancora, date le scorse rivelazioni sulla paternità del sovrano del Nord). Dopo la prima, una festa per cast e amici ha riunito tutti allo Ziegfeld di Midtown dove il dj era sistemato all’ombra di una enorme copia (ovviamente) del grande trono ed ai tavoli si mescolavano protagonisti e comprimari.

IL «MASTINO» (Rory McCann) faceva la fila al buffet accanto a Samwell Tarly (John Bradley) e Jamie Lannister se la spassava con Re Joffrey – («è simpaticissimo, per niente simile al suo personaggio», rassicura Nikolaj Coster-Waldau, sul conto di Jack Gleeson che interpretava l’efferato re-ragazzo. «Mi è sempre piaciuto il mio personaggio», confessa Coster-Waldau ora che è tempo di retrospezione, «In definitiva Jamie è molto umano, il suo movente è proteggere a tutti i costi coloro che ama. Ovvio, è dato agli eccessi, ma io non l’ho mai visto come un cattivo, semmai un tipo onorevole coinvolto in circostanze estreme, a partire dal suo folle rapporto con la sorella». Più ironico è Harington che considera: «In un certo senso Jon è un personaggio molto emo. È uno tormentato, se fosse in un’opera contemporanea sarebbe il goth (ride, ndr), suonerebbe in una band. È sempre depresso – sin dall’inizio, che se ricordate invece era un momento pieno di ottimismo, l’inizio del mandato Obama, pieno di speranza».
Malgrado polemiche su sesso e violenza e soprattutto quelle sull’abuso dei personaggi femminili abbiano accompagnato Game of Thrones, la conclusione promette un ruolo di primo piano per le donne di Westeros. Maureen Dowd la columnist del New York Times è giunta a leggere l’ascesa Danaerys Tarageryn, Cersei Lannister e Sansa Stark (e della sorella minore Arya) nell’ambito del movimento #metoo e di un ritorno del femminismo nella politica americana.

«SICURAMENTE per quanto mi riguarda» – afferma Emilia Clarke – Danaerys ha contribuito a crescere la fiducia in me stessa. Provate voi ad arringare 800 comparse in una lingua inventata e vedrete – ci vogliono palle! Saranno pure battute di un copione ma interpretare una donna così cazzuta ti da il senso di essere da esempio a molte ragazze». Il successo planetario di Trono di Spade ha caricato la fiction di significato ben oltre la specifica trama di lotta di successione dinastica che ibrida fantasy tolkenianiano a cenni storici inglesi (vedi la guerra medievale «delle due rose»). «È proprio il fatto che la nostra fiction non sia prettamente ‘storica’ ma ambientata in un universo parallelo che la rende così universalmente accessibile», sottolinea Coster-Waldau. «Ognuno vi può leggere ciò che vuole ma rimane il dato fondamentale che le manovre politiche attorno al trono sono molto facili da riconoscere. Contiene una verità fondamentale: quella di una specie che si crede evoluta mentre continua a ripetere gli stessi errori e prendere le stesse orribili decisioni».
Trono di Spade nasce in era obamiana come catarsi horror sui peggiori eccessi dell’umano potere ma passa ora alla storia in un era di recrudescenza nazional populista in cui teoria e prassi della crudeltà sono un dato di fatto quotidiano. Comunque sia, con questa ultima stagione verrà consacrato alla storia della televisione come uno di quei programmi che segnano un epoca. Un esperienza che, come dice Harington, difficilmente potrà essere ripetuta. Il che non vuol dire che la HBO non ci voglia riprovare. È già ufficialmente in cantiere il prequel che racconterà fatti risalenti della trama attuale e la discesa di Westeros nel caos medievale alla fine dell’era ’eroica’. Già confermate nel cast Naomi Watts e Miranda Richardson con George Martin produttore esecutivo.

«SO CHE CI STANNO lavorando ma ben poco altro», dice Harington. «Il team creativo comunque è diverso e naturalmente anche il cast. La cosa bella del nostro ’Trono’ è che non ce l’aspettavamo, ci siamo ritrovati nella prima stagione di questo fantasy ed eravamo certi che non avrebbe mai funzionato (ride, ndr). Per la prossima serie sarà importante affrontarlo come un nuovo programma senza fare paragoni che inevitabilmente sarebbero difficili».