Sull’ultimo numero del trimestrale americano conservatore National Affairs è uscito un lungo intervento del politologo Adam Garfinkle. L’articolo, intitolato The erosion of the deep literacy, «l’erosione della capacità di leggere in profondità», istituisce un nesso diretto tra il calo nella pratica della lettura e la decadenza della politica. Secondo Garfinkle, che in passato ha scritto discorsi per George W. Bush e Condoleezza Rice, l’ascesa del populismo negli Usa (e non solo) è conseguenza diretta di una sempre più scarsa propensione a leggere libri impegnativi, a favore della televisione prima, e soprattutto del computer e dello smartphone oggi.
Citando fonti disparate, dal suo vecchio mentore Henry Kissinger («questo nuovo modo di pensare distrugge il contesto, disgrega ogni cosa, il che rende di fatto impossibile qualsiasi riflessione strategica sull’ordine del mondo») alla neurolinguista Maryanne Wolf, che in Lettore, vieni a casa (edito in Italia da Vita e pensiero) analizza la perdita della «pazienza cognitiva», Garfinkle vede nella diffusione della lettura immersiva, fondata sulla capacità di astrazione, l’elemento grazie al quale nei secoli scorsi si è sviluppato il pensiero liberal-democratico. Un dato che gli storici hanno sottovalutato perché, abituati alla lettura in profondità, «l’hanno data per scontata come il proverbiale pesce nell’acqua». Ma ora che la situazione sta cambiando, si chiede lo studioso, «è possibile che una società post-lettura-immersiva, emotivamente più instabile, possa regredire fino ad accettare, o addirittura preferire, forme di governance meno evolute?».
Lasciamo Garfinkle al suo interrogativo sul quale – al di là della provenienza – varrebbe la pena riflettere e passiamo a una forma di lettura associabile, in termini animaleschi, alla chimera o all’unicorno: la lettura collettiva a distanza. Da quando negli Usa è scattata la clausura da coronavirus, ogni mercoledì alle 18, ora di Seattle (le nostre 3 del mattino), comincia il Virtual Silent Reading Party, raduno globale di persone che – previo pagamento di un biglietto tra i 5 e i 20 dollari all’organizzatore, il giornale The Stranger – si incontrano su Zoom per leggere in silenzio. Ognuno a casa propria, inquadrato dalla webcam mentre sfoglia il suo libro, spesso con un gatto in grembo o un bicchiere di vino in mano, a volte sprofondato nel sonno sulla pagina aperta. Commenta sulla New York Times Book Review Gal Beckerman, adepto di questa gigantesca sala di lettura virtuale: «Leggere è un atto talmente solitario… non mi aspettavo che mi sarebbe mancato così tanto farlo insieme ad altri». Sarà la chiusura delle biblioteche, ma sono in molti a cercare un contatto, sia pure a distanza, con altri lettori. Sono affollate le presentazioni virtuali (forse più di quanto avveniva nel pre-Covid), proliferano i gruppi di lettura via schermo. Beckerman ne cita uno che, organizzato dallo Hannah Arendt Center presso il Bard College, è attivo in realtà già da sei anni e si concentra sui testi della pensatrice tedesca, raccogliendo figure eterogenee – accademici, pensionati, studenti, sostenitori di Trump, persone che nella «vita vera» forse non si rivolgerebbero la parola. Roger Berkowitz, l’animatore, cita una frase della stessa Arendt: «Quando un gruppo di persone sono sedute a parlare intorno a un tavolo, è il tavolo a fare di loro un gruppo. Ma se lo togli, sono solo individui, non sono più connessi». Che il tavolo oggi abbia la forma dello smartphone? Garfinkle probabilmente inorridirebbe, ma è un’ipotesi da prendere in considerazione.