Da tempo immersi in un’emergenza che non dà tregua, ci siamo più volte chiesti quale ruolo possa avere la cultura nella situazione che stiamo vivendo, difficile perché certamente drammatica, ma anche perché nuova, mai affrontata nei tempi più recenti.

LA SENSAZIONE di spaesamento e di sospensione che ci accompagna da mesi ci fa sentire, forte, la necessità di fissare alcuni punti certi, cardini attorno a cui ricostruire le nostre vite e la nostra società. Le questioni sanitarie, in primo luogo, ma pure i grandi problemi economici legati alla pandemia sono stati oggetto di molte discussioni in questi mesi, mentre nel dibattito collettivo grande assente è stata la cultura, trascurata, dimenticata, non considerata essenziale in questa partita. In un periodo come quello attuale, pieno di dubbi e interrogazioni per chi opera in ambito artistico,
Nicolas Bourriaud nel suo ultimo libro, Inclusioni. Estetica del capitalocene (PostmediaBooks, pp. 160, euro 19), propone una riflessione su quello che può, e che dovrebbe, essere il ruolo dell’arte in un’epoca in cui il capitalismo globalizzato ha trasformato il nostro approccio con il mondo, con la realtà, rendendo astratto il nostro spazio, razionalizzato il nostro tempo, standardizzato il nostro vivere.
Il volume si basa su un’analisi attenta del mondo contemporaneo, nel quale l’egemonia dell’uomo è tramontata, essendo anch’egli diventato «materia prima», come scrive lo stesso Bourriaud, reificato al pari degli altri elementi naturali. Le considerazioni offerte dall’autore intorno al rapporto tra natura e cultura nell’era dei cambiamenti climatici assumono però un’urgenza inedita proprio nell’epoca del Covid.
Un libro con il quale l’autore spera di «contribuire all’emersione di una estetica inclusiva che spinga a un apprendistato dello sguardo, finalmente decentrato, finalmente ricollocato in un universo plurivoco che includa i non umani. Basata su una visione allargata dell’antropologia, questa estetica comporterebbe la fine dei dualismi che strutturano il pensiero predatore occidentale e punterebbe anzi alla loro completa dissoluzione».

SULLA SCORTA DEL PENSIERO di antropologi, Levi-Strauss in particolare, filosofi e pensatori protagonisti del panorama contemporaneo, Bourriaud riflette sul lavoro di alcuni artisti e arriva a identificare nell’arte una «evoluzione parallela a quella dell’antropologia» con un allargamento del «punto di vista al mondo non umano», che porta gli artisti a confrontarsi con gli elementi del creato in una dinamica basata sul concetto di inclusione, appunto.
Restando libera, perché ai margini del sistema economico, l’arte si offre come spazio simbolico di grande valore sociale, come luogo nel quale la vita di noi tutti può essere reinventata, come sorgente di energia da reinvestire in una dimensione inclusiva in cui l’uomo non è più al centro, ma in una virtuosa rete relazionale con tutto l’esistente, all’interno di un «ecosistema condiviso». Una riflessione ricca e articolata, capace di offrirci davvero molti spunti in questo delicato momento.