Tra i riferimenti di Sébastien Marnier per L’ultima ora, il suo secondo film – presentato alla Mostra di Venezia 75 e ora in sala con Teodora – ci sono Carpenter, Lynch, Cronenberg e ai giovani interpreti per prepararsi alle riprese il regista francese ha fatto vedere Il villaggio dei dannati e Il nastro bianco di Haneke. La sua scommessa (dichiarata) è quella infatti di un cinema politico attraverso il genere, tendenza questa che oggi sembra oggi comune – pensiamo ai numerosi zombie visti all’ultimo festival di Cannes – e che Marnier, anche autore della sceneggiatura, dal romanzo di Christophe Dufossè (Einaudi) mette in scena sin dalle prime sequenze con immagini che cercano l’inquietudine.

IL CIELO BLU di una mattina d’estate che il sole quasi acceca stride come un gemito con quanto accade, con la finestra aperta da cui il professore vola giù davanti alla alla classe: siamo nel college Saint Joseph, riservato alle elité, a rimpiazzare l’insegnante morto viene chiamato un supplente più giovane, Pierre Hoffmann (Laurent Lafitte, visto in Elle) che si trova a tenere testa a una ventina di alunni di intelligenza fuori norma. Tra loro alcuni attirano la sua attenzione, sono i migliori, seri e arroganti, un «club dei sei»nei cui rituali non entreremo mai, possiamo appena scrutare a distanza – come il supplente – quel loro modo di essere quasi alieno.

FORSE PERCHÉ ancora non risucchiato nella routine o perché come i ragazzi vive un sentimento di precarietà ben presto il nuovo arrivato diviene un elemento di disturbo, è il solo capace di cogliere segnali che nessun altro vuole vedere, né i suoi colleghi e nemmeno probabilmente le famiglie che preferiscono celarsi in una indifferenza che non solleva domande. Cosa c’è in quella strana «innocenza» adolescente, nella rabbia nutrita dai frammenti di mondo, dai video, dalla rete, da una conoscenza costruita senza interlocutori? E se la paura del futuro è comune non solo ai giovanissimi come i fantasmi di quell’età «mostruosa» consegnata alla letteratura, questi sei geni sembrano orientati a qualcos’altro: la loro scelta è un no future, l’oscurità di un pessimismo che capovolge il punto partenza: non più «paura del futuro» ma come reagire di fronte a un mondo che è già finito?

I RAGAZZINI di Marnier interrogano il nostro tempo, le istituzioni, chi educa, cercando di mettere a fuoco ciò che rimane nel passaggio tra le generazioni e cosa è ancora possibile fare. Di fronte al pianeta terra che sta morendo questi super-intelligenti che declamano Ballard all’opposto di Greta e dei tantissimi ragazzi che l’hanno eletta loro leader sembrano preferire la via della dissoluzione (Zombie Zombie in elettronica), l’apocalisse in cui si riflette il suicidio collettivo.

EPPURE in quella loro natura di creature horror e adulti a venire, prendono forma questioni che vanno oltre di loro e ci riguardano tutti, come le menzogne dei poteri (e dei potenti), la violenza, la fragilità della democrazia che l’ossessione della sicurezza ha svuotato di senso. Peccato che in Italia i ragazzi non lo vedranno, la censura ha ben pensato di vietarlo ai minori di quattordici anni. Anche questo dovrebbe farci riflettere.