È una bocciatura a tutto campo del Documento di Economia e Finanza 2015-2017, presentato dal governo Renzi, quella che è emersa dal seminario di approfondimento e analisi sul Def organizzato ieri alla Camera dall’associazione Re:Vision, che ha visto la partecipazione di numerosi economisti, centri studi ed esponenti dei movimenti sociali, nonché di vari parlamentari «critici» del Pd (tra cui Stefano Fassina e Paolo Guerrieri) e di Sel (Giulio Marcon, Giorgio Airaudo). Due le parole chiave che hanno accomunato quasi tutte le analisi della prima finanziaria di Renzi: «continuità» e «insostenibilità».

Continuità con le politiche neoliberiste e di austerità degli ultimi anni, e insostenibilità di una strategia politico-economica che punta a raccogliere crescita ed export seminando ulteriori tagli, precarietà, liberalizzazioni e privatizzazioni. «Di che paese parla il Def: dell’Italia o della Bassa Baviera?», si chiede ironicamente Mario Pianta, professore di politica economica all’Università di Urbino e coordinatore della rete Sbilanciamoci!, che descrive come «pura fantasia» le previsioni di crescita contenute nel Def: addirittura +7% nel corso del quadriennio 2014-2018, un tasso crescita superiore persino a quello registrato nel «boom» degli anni 2003-2007. Che appare ancor più irrealistico a fronte delle pesantissime manovre di «consolidamento fiscale» (leggi: austerità) previste per i prossimi anni. In barba alle recenti sparate di Renzi sugli «anacronistici» vincoli di Maastricht, infatti, dal Def appare evidente che il governo ha scelto di recepire alla lettera le raccomandazioni della Commissione e gli obiettivi previsti dal Fiscal Compact, che impongono all’Italia di raggiungere il pareggio di bilancio strutturale entro il 2016. Un obiettivo che comporterà tagli per almeno 22 miliardi nei prossimi anni, deprimendo ulteriormente una domanda e un’economia già asfittiche. Ma del cui impatto sull’economia il Def non tiene minimamente conto. Come ha detto Stefano Fantacone del Centro Europa Ricerche (Cer): «I numeri non tornano. Il Def annuncia manovre restrittive ma non calcola l’impatto sulla crescita». Che secondo il governo sarà tutta trainata dall’aumento delle esportazione e dalle misure di liberalizzazione e di ulteriore flessibilità del mercato del lavoro. Paolo Pini, ordinario di economia politica a Ferrara: «Il governo sostiene che le liberalizzazioni aumenteranno la produttività. È vero invece il contrario: i dati dimostrano che la deregolamentazione del mercato del lavoro non crea solo precarietà e perdita di diritti ma anche perdita di produttività e quindi perdita di capacità di crescita».

Il motivo lo ha spiegato Giorgio Airaudo di Sel: «Il Def si basa sulla logica secondo cui l’unica maniera per incrementare gli export è svalutare il lavoro. Ma questo presuppone imprese di basso valore, che invece di innovare scaricano tutti i costi sul lavoro. È una logica suicida, che invece di incentivare le imprese a investire si rassegna al declino industriale del nostro paese». Ma che rientra perfettamente nella logica mercantilista a cui la Germania vorrebbe uniformare tutta l’eurozona. Secondo Stefano Fassina, «il Def è in continuità assoluta con l’attuale politica economica europea, che punta a far diventare l’Italia e l’Europa intera come la Baviera per mezzo della svalutazione interna e della precarizzazione». Un processo di «cinesizzazione» della periferia, insomma, che si sta già rivelando un disastro non solo dal punto di vista sociale, ma anche da quello economico. «Non è vero che la nostra finanza pubblica sta migliorando», ha continuato Fassina. «Gli effetti sociali ed economici dell’austerità stanno compromettendo anche gli obiettivi di consolidamento fiscale, a partire dalla riduzione del debito, che infatti continua a lievitare». «La verità è che il Def si basa su un modello economico palesemente disfunzionale, che è la vera causa della crisi e che andrebbe rigettato una volta per tutte. E invece il governo vi ha basato tutta la sua politica economica», è la sintesi di Maurizio Franzini, professore di politica economica all’Università La Sapienza.

Infine, Giulio Marcon di Sel e Grazia Naletto di Sbilanciamoci! hanno denunciato come il Def non preveda alcuna misura per centrare gli obiettivi Europa 2020, che non vengono neanche presi in considerazione. In definitiva, è apparso evidente dall’incontro di ieri che quella di Renzi è una finanziaria che sta creando molti malumori, anche tra le fila del Pd – «insostenibile ed irrealistica, sbagliata la teoria e sbagliati i numeri» è il giudizio conclusivo di Fassina e del suo collega Guerrieri, senatore Pd e vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali –, e che proprio il Def potrebbe rappresentare l’occasione per l’emergere di un nuovo processo politico, alternativo alla logica dell’austerità.