Gli appassionati di football in questi giorni si godono i gol strepitosi di Lorenzo Insigne e delle calciatrici italiane impegnate nei Mondiali in Francia. Ma il calcio è anche politica, soprattutto se inserito nel contesto dei conflitti mediorientale come ben spiega una notizia, tenuta riservata per mesi e rivelata nei giorni scorsi dal sito d’informazione Electronic Intifada. La Fifa, l’organismo che controlla e regola il calcio internazionale, all’inizio del 2019 ha aperto un’inchiesta contro il capo della Federcalcio palestinese, Jibril Rajoub, con l’accusa di aver incitato all’odio e alla violenza. Il sito sottolinea che il “comitato etico” della Fifa ha avviato le sue indagini solo sulla base di documenti presentati da Palestinian Media Watch, una Ong legata all’estrema destra israeliana e al movimento dei coloni. Il procedimento desta sorpresa – ma fino a un certo punto – se si considera che Rajoub per anni (inutilmente) ha chiesto alla Fifa sanzioni contro Israele per la violazione dei diritti dei calciatori palestinesi attraverso l’imposizione di forti restrizioni ai movimenti delle società e degli atleti per «ragioni di sicurezza». Il presidente della Federcalcio palestinese ora è sul banco degli imputati e a non pochi ciò appare una “punizione”.

Nella lettera della Fifa, il capo del comitato etico, Martin Ngoga, accusa Rajoub di promuovere un’agenda politica e di non usare il calcio «per costruire ponti di pace con Israele». La vicepresidente della Federcalcio palestinese, Susan Shalabi, si è rifiutata di commentare le parole di Ngoga ma ha denunciato il Palestinian Media Watch descrivendolo una fonte non credibile, solo dalla volontà di colpire i palestinesi. Se Rajoub sarà giudicato colpevole, per diversi anni non potrà prendere parte a qualsiasi attività legata al calcio. Già lo scorso agosto la Fifa lo aveva squalificato per un anno e multato di 20.000 franchi svizzeri (circa 19mila euro) per aver invitato i fan a bruciare poster e magliette della stella del calcio mondiale Lionel Messi se avesse partecipato esattamente un anno fa a una partita dell’Argentina contro Israele a Gerusalemme, città occupata secondo il diritto internazionale e annessa allo Stato ebraico. «Se Messi dovesse giocare contro Israele, chiederemo a tutti i suoi tifosi palestinesi di bruciare le sue magliette, le sue foto e di abbandonarlo», dichiarò in quella occasione Rajoub. Il match era stato inizialmente programmato a Haifa e poi spostato a Gerusalemme allo scopo evidente di ribadire la sovranità di Israele su tutta la città santa.

Mosse a sfondo politico che la Fifa non ha mai preso in considerazione. La Fifa inoltre non ha sanzionato Israele per le squadre di calcio delle colonie che giocano nella Cisgiordania palestinese sotto occupazione militare. Due anni fa ha rimosso dal tavolo di discussione la mozione presentata da oltre 170 club palestinesi che chiedeva di sospendere la Federazione Calcio Israele per violazione del regolamento, nonostante le sue stesse linee guide prevedano l’esclusione di team che si sono registrati e giocano nel territorio di altre federazioni. Il caso riguardava in particolare sei squadre: Maccabi Ariel, Ironi Ariel, Beitar Givat Ze’ev Shabi, Beitar Ma’ale Adumim, Hapoel Oranitm e Hapoel Bikat Hayarden. A sostegno delle richieste palestinesi si mobilitarono 120 organizzazioni di tutto il mondo. E personalità di sport e cultura, registi, politici inviarono lettere alla Fifa tra i quali Richard Falk, Ken Loach, Paul Laverty. Fu tutto inutile.