Finita la festa di Napoli, il Movimento 5 stelle torna alla partita che si svolge a Roma, tra le forze di maggioranza e all’interno degli eletti alla camera e al senato. Ieri Anna Macina, considerata la candidata più vicina a Luigi Di Maio, si è tirata fuori dalla corsa per diventare capogruppo a Montecitorio. Macina alla prima votazione era arrivata terza su tre candidati. Adesso lascia il campo a Francesco Silvestri, vicecapogruppo uscente considerato vicino agli «scontenti» in precedenza vicini a Di Maio, e Raffaele Trano, che invece rivendica maggiore autonomia dei parlamentari rispetto ai membri del governo. La nuova votazione è fissata per domani mattina.

DELLA DIFFERENZA tra grandi annunci e vicissitudini quotidiane in qualche modo Beppe Grillo disserta dal suo blog, in un testo che parla dei diversi modi di essere «Elevato»: etico, estetico o religioso. Ci si distingue dalla massa, dice Grillo, guadagnandosene l’ammirazione o attirandosene l’invidia, rispettivamente per doti naturali, a causa della maggiore conoscenza o per il fatto di possedere virtù morali particolari. In tutti e tre i casi, il rischio è che ci si trasformi in tiranni o in ciò che per il fondatore del Movimento 5 Stelle sembra essere quasi peggio: semplici uomini politici.

Come al solito, è difficile capire a cosa si riferisca di preciso e non è neanche detto che il messaggio abbia un destinatario specifico. Di sicuro dopo la kermesse partenopea, che ha segnato il suo ritorno nell’agone politico allo scopo di aprire una volta per tutte la fase dell’accordo di governo col Pd, Grillo marca distanza, se ne torna alle cose che considera «alte» e lascia ad altri la semplice amministrazione quotidiana. Nella fattispecie, la lascia proprio al «capo politico» Luigi Di Maio, che con casi come quello dell’elezione dei capigruppo sperimenta la differenza tra gli applausi dalle platee di sostenitori e il Vietnam di gruppi parlamentari in cui regna la confusione. Tra gli eletti a Roma, oltre alla solita confusione, si percepisce che le priorità sono due: evitare le urne e mantenere quei brandelli di potere decisionale che si sono conquistati nei giorni della crisi di agosto.

«COSA VOLETE che importi se qualcuno è incazzato perché adesso siamo alleati col Pd?» ha scritto sempre Grillo nei giorni scorsi, consegnando a Di Maio la gestione di un governo che all’inizio lo aveva visto, come lui stesso ammette, «diffidente». Questo è l’altro nodo, che il «capo politico» cerca di depotenziare garantendo che il M5S «nei prossimi dieci anni di vita sarà determinante per la formazione di qualsiasi governo». Solo che mentre Di Maio pronunciava queste parole, domenica sera dal palco della Mostra d’Oltremare, Grillo se n’era già tornato in albergo, non prima di essersi intrattenuto a lungo con Roberto Fico, padrone di casa e forse vero protagonista della festa grillina. Resta il dato politico: a differenza di Grillo che sottolinea le distanze con gli ex alleati della Lega («i tamarri, rigidi a pensare a metà del proprio naso, colmi di rancore come ragazzini a cui qualche uomo nero vuole rubare i giocattoli»), Di Maio si limita a teorizzare per il M5S un futuro al centro dello schieramento politico, magari non da primo partito ma in una posizione di crocevia che gli consenta di fare da «ago della bilancia».

NEL FUTURO PROSSIMO ci sono anche i nuovi organigrammi. Di Maio promette «collegialità», riprendendo un concetto ribadito a più riprese proprio da Fico, ma mantiene poteri molto forti di veto o di selezione diretta. Arriveranno sei responsabili tematici e dodici facilitatori territoriali che lavoreranno assieme ad alcuni collaboratori. Tutto passerà per la piattaforma Rousseau, che a sua volta dovrebbe tentare di riprendersi dalla voragine di iscritti e utenti attivi in cui è finita ormai da tempo trasformandosi in una specie di social network. Quanto ai corpi intermedi che traghetteranno il M5S verso la nuova era, Di Maio avrà voce in capitolo praticamente in ogni nomina. Alcune volte lo farà passando al vaglio le candidature, in altri casi eserciterà il suo potere tenendosi il diritto di dire l’ultima parola e scegliere tra i più votati. Nel caso dei referenti tematici, il nucleo più ristretto, addirittura la scelta avverrà per cooptazione: sarà direttamente Di Maio a fare i nomi che formeranno la squadra che lo affiancherà.