Le Giornate, zuppe di pioggia autunnale, si chiudono con gli ultimi episodi del cinema della rivoluzione messicana, tema cui è dedicata anche la mostra fotografica Que viva Mexico. Immagini della rivoluzione. Il patrimonio della cineteca messicana era uno di quelli più seriamente colpiti da incendi e problematiche varie che distruggono il cinema del passato, quindi ben venga l’iniziativa di recuperare e restaurare il repertorio cinegiornalistico e documentario che aveva ripreso dal vivo gli eventi tra il 1896 e la conclusione della rivoluzione nel 1920 – la prima e più lunga «rivoluzione» documentata dalle immagini in movimento.

La rassegna propone quindi rari materiali stranieri e nazionali che mostrano il Messico folcloristico ma anche battaglie, sfilate del primo maggio, celebrazioni, immagini dei protagonisti (da Victoriano Huerta che consegna la bandiera alla Escola Nacional all’attacco di Pancho Villa a Zacatas, con scene di battaglia) e la sfilata di Villa e Zapata a Città del Messico nel dicembre 1914.

Particolarmente interessante Francisco Villa en Ojinaga, un materiale americano del 1913/4 che mostra i feriti accolti sulla riva del Rio Grande dagli Stati uniti, inclusa la medicazione di una ferita alla gamba di un povero campesino, ovviamente senza anestesia, mostrata in tutti i suoi più cruenti dettagli, come la benda che penetra la carne da parte a parte per ripulirla, mentre il ragazzo guarda in camera con una smorfia di dolore, oppure la fucilazione di una spia bendata e passata per le armi piuttosto spicciamente dai soldati di Villa.

Sui manifesti del festival campeggia quest’anno il volto della star ceca Anny Ondra, riccioli biondi, boccuccia a cuore, occhi chiari con un lampo birichino, una Mary Pickford mitteleuropea sexy quanto sbarazzina, cui le Giornate hanno dedicato una sezione, che ha permesso anche di mettere a fuoco la pressoché sconosciuta cinematografia muta ceca, e il lavoro dell’attore regista Karel Lamac.

La cosmopolita Anny Ondra è entrata nella storia del cinema per essere stata interprete dell’ultimo film muto di Hitchcock, The Manxman, ma soprattutto la prima piccante donna bionda nel suo primo film sonoro, Blackmail– come ha rammentato il festival proponendo il divertente provino girato da Hitchcock con la disinvolta attrice, provocata con l’accusa di essere una «cattiva ragazza».

Nella sua carriera in patria Anny Ondra ha espresso il meglio sotto la guida di Lamac, come testimonia Il taglialegna, con un inseguimento in montaggio parallelo alla Griffith, che ispira anche la caratterizzazione dei personaggi, per cui i cattivi non amano né sono amati dagli animali domestici.
Anny riprende poi il ruolo dell’orfanella che aveva interpretato al suo esordio, sedicenne, in teatro, in La lanterna, un fantasy firmato anch’esso da Lamac, in cui un prestante mugnaio custodisce un albero magico che dà rifugio agli oppressi e si rifiuta di obbedire alla capricciosa principessa che vorrebbe farlo abbattere, e che vuole portar via la trovatella che però è protetta dai folletti del bosco, due figure ben riuscite, che anticipano il Reinhardt in Sogno di una notte di mezza estate, integrandolo con i tocchi antiautoritari del racconto popolare.

Il successo in patria porta poi l’attrice a lavorare nell’ambito cinematografico dell’ex impero asburgico, ma anche in Inghilterra, a testimoniare l’internazionale filmica degli anni Venti in Europa, presto cooptata da Hollywood, in cui la componente dell’Est (magiara e ceca) non era secondaria rispetto alla meglio nota tedesca.
La scoperta più piacevole di questi ultimi giorni di festival è venuta però da un film italiano, I Promessi sposi (Eleuterio Ridolfi, 1913) ovvero uno degli incunaboli del feature film. Il maestro della sceneggiatura muta, Arrigo Frusta, propone una versione narrativamente efficace del romanzo, conservando l’umorismo manzoniano, preservando nelle didascalie e nel montaggio i centoni delle scene celebri e costruendo persino una suspense sull’esito della vicenda.

La recitazione moderna di Gigetta Morano -Lucia e un uso interessante di esterni con ruderi ad evocare castelli e stradine lombarde, ci ricordano che accanto alle dive e alla retorica dei superspettacoli storici, il cinema italiano muto nazionale ha prodotto anche l’invenzione dell’adattamento letterario di largo respiro, l’uso di location reali invece che fondali dipinti e attrici come la Morano, riscoperta negli ultimi anni per la sua verve comica pre-femminista.