Storie di figure di cui spesso nessuno conosce l’identità, che giungono in una comunità ristretta creando non pochi rivolgimenti: questo il soggetto ricorrente nei libri di Jenny Erpenbeck: da Di passaggio, al centro della cui vicenda era la misteriosa figura del Giardiniere, dotata di molteplici talenti, a Voci del verbo andare, in cui Richard, intellettuale in pensione, terrorizzato dal trascorrere del tempo che lo opprime, va a una scuola per migranti a Kreuzberg, popolata di africani, sudamericani e asiatici allo scopo di ritrovarsi. Ora arriva in libreria Storia della bambina che volle fermare il tempo (nella vivace traduzione di Ada Vigliani, che firma anche quelle dei volumi precedenti, tutti di Sellerio, pp. 128, € 12,00, già uscito da Zandonai nel 2013).

Al centro, la figura, di nuovo inquietante, di una ragazzina, che come Kaspar Hauser, di cui è una moderna versione, compare dal nulla, con un secchio e una scopa in mano. La polizia la interroga, senza ottenere risposta, l’ufficiale infine la tormenta, non tollerandone la passività. Verrà mandata in un orfanotrofio, dove il suo massimo desiderio sarà quello di scomparire: troppo grande per la sua età, non agisce, risponde a fatica alle domande a scuola, viene ignorata dai compagni, che la umiliano. L’unico contatto con loro passa attraverso gli avanzi della mensa, che chiede sistematicamente di poter ripulire dal piatto. Arriverà a comprendere, di colpo, che solo mettendosi al servizio dei suoi compagni di scuola potrà essere accettata: lei che mostra di non saper rispondere alla maestra, scrive in realtà sotto i banchi le risposte per i suoi compagni. Sempre più malata, decide che l’orfanotrofio è per lei l’unico luogo protetto, da non abbandonare a alcun costo; e quando i medici pensano di non essere in grado di curarla oltre e la inviano in ospedale, dichiara all’infermiere: «solo con i piedi in avanti».

La creatura goffa, invisa a sé e agli altri, prende via via le fattezze di una donna, finché non giunge a visitarla sua madre, che lei non è in grado di riconoscere, né salutare. Una favola nera sulla comunità impossibile, questa, la cui protagonista cerca in ogni modo di aderire al mondo che la circonda, non riuscendo in a comprenderne i meccanismi. E il talento maggiore dell’autrice sta proprio nel mostrare come un elemento della società che non agisce allo stesso modo degli altri sia in grado di mettere in crisi codici e aspettative comuni.