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La favola a lieto fine di Gianni Amelio, «Padre quotidiano»

La favola a lieto fine di Gianni Amelio, «Padre quotidiano»

Incontri Il regista presenta a Sorrento il suo nuovo romanzo, una storia autobiografica iniziata in Albania sul set di «Lamerica»

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 26 aprile 2018

Agli Incontri internazionali del Cinema di Sorrento, Gianni Amelio ci ha parlato del suo libro Padre quotidiano (Mondadori): un romanzo, ma tutto vero, tutto esplicito, compreso il fatto che Gianni sia un «pederasto». Quel che conta non sono le opzioni sessuali ma l’essere uomo, dolce che sa essere aspro, amaro e anche divertente, capace di cesellare una storia che col sesso non c’entra, quasi una favola a lieto fine. Una storia forte, autobiografica ma «impossibile da raccontare con un film» sottolinea. Problema di costi. Perché è una storia iniziata in Albania nei primi anni ’90, quando il regista trascorre molto tempo in quel paese improvvisamente libero, drammaticamente povero, malato di Italia televisiva.

Amelio è lì per girare Lamerica, «che racconta di un italiano in Albania convinto di essere in Italia alla fine della seconda guerra mondiale, perché allora era questa la sensazione che avevamo. L’Albania di quei tempi era molto simile alla Calabria della mia infanzia, io mi riconoscevo negli albanesi: lo racconto attraverso una foto di mio figlio nell’Albania degli anni ’80 che sembra la Calabria anni ’40: gli stessi vestiti addirittura, la stessa magrezza, la stessa fame».

Già perché in Albania gli capita una cosa strana: «Un’adozione comandata. L’incontro con un uomo di montagna che mi porta a casa sua, insiste perché beva il suo caffé, vada al bar con lui. Poi un giorno in modo perentorio, ordinandomelo, mi dice ‘questo ragazzo fino a oggi è stato figlio mio, da domani è figlio tuo’. Io non avevo alcuna intenzione di fare il papà. Non mi sentivo assolutamente in grado di occuparmi di una persona, per giunta l’unico albanese che non parlava una parola di italiano».
Ma per Amelio non c’è scelta né possibilità, deve adottare ArbemEthemZekaj, tutto di fila, come si presenta. Un ragazzo di 17 anni un po’ ribelle – sua è l’ultima inquadratura di Lamerica – figlio di Life, all’inizio poco propensa, e Ethem, oppositore del regime di Enver Hoxha, per questo condannato a sette anni di lavori forzati in miniera, da cui è sopravvissuto ma seriamente minato nel fisico, infatti muore poco tempo dopo.

«Non avevo colto alla lettera che quello era un estremo sacrificio: pensando di non poter dare un futuro al figlio, lo ha affidato a me. Ancora oggi Life viene d’inverno a Roma, perché a Koplik è molto freddo e io vado da lei qualche giorno in agosto». Quando Arben, dopo molte difficoltà, arriva finalmente in Italia, Gianni gli prende un appartamentino e qualche mese dopo fa venire anche i genitori per dargli una mano: «Io non ce la facevo, a parlarne oggi dopo 25 anni sembra sia andato tutto liscio ma non è così. Credo che lui sia stato aiutato dall’avere trovato la sua compagna meno di un anno dopo essere arrivato a Roma, sono insieme ancora adesso e hanno tre figli e questo fatto mi ha tolto tante responsabilità. Ora sono più che un Padre quotidiano, sono un nonno minuto per minuto».
Oggi Luan Amelio Ujkaj (questo il vero nome del figlio) è un operatore cinematografico affermato che ha lavorato con Mazzacurati (erano amici), Luchetti, Amelio e Sorrentino, compreso Loro.

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