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La fatica di vivere dell’impiegato

La fatica di vivere dell’impiegatoUn disegno di Franz Kafka

Saggi «Alle fonti del kafkiano. Lavoro e individualismo in Franz Kafka»: Luigi Ferrari rileva le capacità di analisi del sistema economico dello scrittore praghese

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 24 aprile 2014

«Da tempo ormai il nuovo modo di lavorare, di organizzare il lavoro, la produzione e l’economia stavano cambiando l’uomo, il suo ambiente e le sue relazioni, ma mancavano alcuni indispensabili modi di discuterne. Certo, gran parte delle parole e dei concetti che noi oggi usiamo per parlare della grande fabbrica, dell’impresa, del primato dell’economia nella vita associata e di argomenti connessi erano disponibili da tempo – da Taylor a Marx -, ma chi aveva parlato dell’inconsistenza del soggetto, del vuoto mentale, chi aveva mostrato, o solo nominato, il legame psicologico del soggetto all’evanescenza persecutoria delle grandi costruzioni organizzative? Chi, pur parteggiando per i lavoratori, ne aveva narrato così bene la cecità, il vuoto interiore e le vuote illusioni e chi aveva altrettanto bene intravisto i contenuti profondi della progressiva e radicale atomizzazione degli individui?».

Così, Luigi Ferrari, nel suo recente Alle fonti del kafkiano. Lavoro e individualismo in Franz Kafka (prefazione di Giorgio Galli, postfazione di Renato Rozzi, editrice Vicolo del Pavone, pp. 312, euro 21) ci introduce ad analizzare con una lente non letteraria e non tradizionale l’opera di Kafka (1883-1924). Ideale continuazione del suo monumentale L’ascesa dell’individualismo economico, pubblicato dalla stessa casa editrice nel 2010, il lavoro di Ferrari è uno straordinario viaggio dentro il pensiero di Kafka «scrittore del lavoro, dell’economia e della realtà» e apre una prospettiva inedita nella comprensione della sua opera – restituita nella sua estrema varietà e complessità – e dei meandri di senso che sono all’origine dell’uso quasi universale del termine «kafkiano».

Il libro si compone di una introduzione generale e di cinque capitoli che fanno perno su altrettanti nodi dell’interpretazione delle opere e delle lettere private dello scrittore praghese. Ne accenneremo qui per tratti fondamentali nella descrizione dei vari capitoli, certo non esaustiva del quadro ben più articolato che il lettore troverà nel volume.

L’analisi del primo capitolo (Il Lavoro) è innovativamente centrata sulla relazione tra i temi di alcune opere fondamentali di Kafka (Le Metamorfosi, Il Digiunatore e Il Castello) e le approfondite conoscenze sull’organizzazione del lavoro – riflesse in varie « relazioni tecniche» riportate alla luce da Ferrari – che lo scrittore aveva acquisito come analista dell’Istituto di assicurazione contro gli infortuni dei lavoratori del Regno di Boemia, a Praga, dove lavorerà tra il 1908 e il 1918.

Lontano dall’immagine di «povero travet ’scadente’ e svogliato, con il solo esclusivo interesse per la letteratura» che l’autore praghese, ancora prima dei suoi esegeti, ha voluto trasmetterci, Kafka aveva, in realtà, sempre rivestito un ruolo formale e soprattutto informale di primissimo piano nello studio tecnico, psicologico, legale e gestionale della prevenzione degli infortuni e, in senso lato, dell’organizzazione del lavoro.

Così – sostiene Ferrari – i protagonisti delle opere di Kafka sono investiti – pur nei termini onirici che ne caratterizzano l’esperienza – dai processi e dalle condizioni che Kafka conosceva bene: l’interscambiabilità e fungibilità dei lavoratori nella produzione capitalistica; la perdita di senso dell’attività lavorativa del singolo; la sempre possibile e incombente sua «superfluità» e irrilevanza; l’immiserimento della vita interiore del lavoratore, il «vuoto mentale» che si produce in chi subisce.

Nel secondo capitolo (Intermezzo metodologico) troviamo il tema degli strumenti metodologici – in particolare in attinenza alla scuola delle Annales – che permettono di comprendere il nesso tra storia oggettiva e soggettiva nell’opera kafkiana, con ampio riferimento ai processi descritti da Ferrari ne L’ascesa dell’individualismo economico e la discussione di merito riguardo il senso della scelta della forma nell’apologo onirico, «ovvero di una narrazione al contempo sfrenata e imperturbabile e perciò adatta a riflettere il caos del nuovo nelle società», in comparazione con Freud dell’Interpretazione dei sogni.

Di notevole importanza appare, poi, l’insieme delle considerazioni condotte nel terzo capitolo (Le Organizzazioni), che verte sull’analisi kafkiana delle forme del potere organizzativo, così come si mostra in opere quali Il Processo, Il Castello, La Colonia Penale. In questo capitolo, Ferrari capovolge l’interpretazione di Kafka come esegeta delle strutture organizzative totalitarie, monolitiche e impenetrabili nelle loro logiche occulte, mostrando come in realtà egli parli delle grandi organizzazioni come strutture deboli o meglio, indebolite, dal «brulicare», al loro interno, di interessi individuali e privati, da procedure vaghe e imprecise, da disordine organizativo e resistenza al cambiamento – anticipando riflessioni che solo oggi l’evoluzione del lavoro e delle organizzazioni ha reso del tutto attuali.

Il nodo della visione che Kafka mostra di avere dell’economia che si andava affermando e del lavoro dipendente in cui si identifica contrariamente al «destino» che la famiglia vorrebbe per lui, viene affrontato nel quarto capitolo (Affetti e denaro), con una disamina del groviglio intricatissimo di affetti e interessi economici che hanno riguardato la relazione tra Kafka e la sua famiglia, in particolare con la figura paterna (Lettera al padre), nel contesto generale del precipitare, nel periodo, di quella «ribellione al padre» che andava maturando da molto tempo con il disgregarsi progressivo della società agrario-feudale.

Oltre l’individualismo, verso l’individualismo economico, tema del capitolo finale, si svolge sullo sfondo dei processi storici che sono alla base della riflessione di Ferrari. Vediamo così, attraverso le parole delle lettere, dipanarsi il pensiero di Kafka su se stesso, sul proprio individualismo e tendenza all’isolamento, sul suo rifiuto della famiglia e del matrimonio, sul «nucleo più interno dell’incipiente atomizzazione degli individui e dell’eclisse generalizzata della socialità», arrivando infine – tra altre opere – alla cupa visione che si esprime nella Tana (1923-24), scritto sei mesi prima della morte e rimasto incompiuto.

In quel racconto, come vorrebbe oggi il liberismo economico, «il mondo è popolato solo da predatori e ogni forma di relazione con l’altro è un duello: non ci può essere cooperazione e dunque totalmente assente è la fiducia». Quindi, «il mondo è atomizzato: quella che inizialmente era la difesa dell’individuo dal collettivo si è poi trasformata nel primato dell’individuo e, infine, nel culto totalitario del singolo».

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