L’attraente kermesse dei «Dialoghi del Mediterraneo» a Roma è partita con una premessa irrealistica: «La soluzione è politica non militare»,, un puerile ritornello ripetuto anche dal nostro ministro degli Esteri. Che non sia vero lo dicono i fatti.

In Siria la soluzione è stata militare, con il regime di Damasco sostenuto da Iran e Russia. Turchia, potenze arabe e occidentali per anni hanno detto di volere eliminare Assad e ora vorrebbero dialogare con lui. La «soluzione» è stata militare anche quando la Turchia ha massacrato i curdi in Rojava: o forse ce ne siamo già dimenticati?

È militare anche in Libia dove Haftar assedia Tripoli. In Yemen, che ha visto la cocente sconfitta della coalizione saudita a opera degli Houthi arrivati a rivendicare il bombardamento degli impianti petroliferi della monarchia wahabita.

La soluzione diventa diplomatica solo se i protagonisti hanno la certezza di pagare un prezzo troppo alto per la scelta delle armi. Dando via libera a Erdogan nel nord della Siria e alle annessioni di Israele in Palestina, contro ogni risoluzione Onu, gli Usa di Trump hanno indicato crudamente che la scelta è molto più militare che politica, come si era già visto con i bombardamenti occidentali dell’Iraq nel 2003 e della Libia nel 2011.

Gli europei hanno sostanzialmente avallato e fatto proprio il metodo del fatto compiuto. A Roma si fanno chiacchiere inutili e al massimo si imbastisce qualche affare dietro le quinte. La diplomazia funziona talmente male che il ministro degli Esteri Di Maio neppure se ne accorge.

«Non c’è soluzione militare in Libia», ha ribadito il titolare della Farnesina, come se il ministro degli Esteri libico Syala nell’incontro all’Hotel Parco di Villa Medici non gli avesse detto chiaro e tondo che se non fosse stato per gli aiuti militari della Turchia a sostegno del governo Sarraj il generale Haftar, appoggiato dai mercenari russi, sarebbe già entrato a Tripoli.

In poche parole il ministro libico ha comunicato che adesso a Tripoli comanda Erdogan, al quale di fatto fanno capo le operazioni militari. Ma Erdogan comanda anche qui, a Roma. Ce lo dovevamo aspettare visto che per anni abbiamo lasciato che con il nostro consenso inviasse migliaia di jihadisti in Siria.

Il seguito del ministro degli Esteri turco Cavusoglu ha così ottenuto che ieri dalla sala del suo intervento al Med venissero allontanati tre turchi, tra cui il giornalista e scrittore Yavuz Baydar, perché in quanto non allineati sgraditi alla «democratica» Turchia, membro della Nato e ancora candidata all’ingresso nella Ue.

E a proposito del patto leonino tra Turchia e Libia la Grecia ha annunciato l’espulsione dell’ambasciatore di Tripoli. Atene è inferocita perché Erdogan ha fatto firmare ai libici – con la pistola di Haftar punta alla tempia – un’intesa per la delimitazione dei confini marittimi nel Mediterraneo orientale che in pratica asseconda le rivendicazioni turche sulla «zona speciale» di Cipro greca per lo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio.

Una cosetta non indifferente visto che sono coinvolte Italia, Israele, Francia con la Total e anche alcune società americane. Al punto che Macron ha inviato la marina militare mentre l’Italia ci sta pensando e la nostra diplomazia ha «sondato» i turchi su questa eventualità. Insomma si è tornati alla politica delle cannoniere in un’area nevralgica, in cui si vuole costruire un gasdotto sottomarino di 3mila km per convogliare verso l’Europa le risorse energetiche di Egitto, Israele e Cipro.

Bisogna dire che i dialoghi del Med hanno una certa surreale utilità. Il ministro degli Esteri italiano si è detto «preoccupato per il graduale disimpegno iraniano dall’intesa sul nucleare». Come se fosse stato l’Iran e non Trump nel 2018 a stracciare un accordo negoziato dall’amministrazione Obama e voluto da Russia, Cina ed Europa. Avanti così e i dialoghi del Med diventeranno il copione di una farsa accompagnata dagli echi lontani delle vere tragedie mediterranee.