Le famiglie felici si somigliano tutte, le famiglie infelici lo sono ognuna a suo modo». L’incipit più famoso del mondo è anche una sacrosanta verità. Ogni componente di una famiglia ha formulato questo pensiero almeno una volta nella vita. È un pensiero condiviso, un prezioso monito a stare in campana in ogni istante della propria vita. Quanti di noi, però, saprebbero rispondere correttamente a bruciapelo a quale romanzo appartiene? Temo che il novero di persone vincenti si stiano a mano a mano affievolendo… Ma tutti sanno che colei che si lancia sotto le rotaie di un treno in corsa è Anna Karenina: non è chiaro che proprio la sua infelicità diversa dalle altre la spinge al folle gesto senza ritorno?
A giugno sono stata per un paio di giorni ad un festival di documentari. Mi sono immersa in storie vere di altri, famiglie disfunzionali, figli autistici che imparano a parlare tramite i cartoni di Walt Disney, progenie segnate dalle colpe dei padri. Poi c’era lei, Anna Karenina: un regista italo-, Tommaso Mottola, accompagna per un mese o giù di lì sua moglie, la stupenda attrice norvegese Gørild Mauseth, in un viaggio lungo la Transiberiana verso Vladivostok dove la donna andrà a interpretare sulla scena l’eroina di Tolstoj, in lingua russa.

 

 

In uno scambio di ruoli potentissimo – Gørild porta con sé il figlioletto coetaneo di Serëža – il film gioca su vari registri: le prove dello o spettacolo, il percorso interiore di un attore per entrare dentro il personaggio, l’identificazione personale con la situazione familiare del personaggio cartaceo e della persona fisica.

 

 

La protagonista ricalca Anna, se ne sente posseduta, a volte la possiede: soffre, ama, si mette in gioco come lei. Perché Anna Karenina è una donna coraggiosa, impavida, una donna che sceglie per se stessa. Si possono discutere le sue preferenze, si può si può dissentire. Ma non si può giudicare. Perché ogni volta che sceglie, Anna lo fa con tutta se stessa: quando abbandona la famiglia, infelice; quando capisce di non essere ricambiata allo stesso livello da Vronskij; quando preferisce la fine a ogni nuovo possibile inizio.
Vivo da tredici anni con lo stesso uomo, padre di nostro figlio, unico maschio. Il tradimento si configura nella mia immaginazione come territorio maschile (quanto fu moderno Tolstoj ad attuare un così potente ribaltamento di dominio dell’adulterio in un romanzo di fine Ottocento!), non è possibile per me valicarne il confine. A volte mi è capitato di invidiare le donne che lo praticano, che si incasinano, che ne traggono giovamento, anche matrimoniale.

 

 

Leggendo, spesso, ho rimediato a questo limite: negli anni sono stata Emma Bovary, Anna Karenina, Elena di Troia. E grazie al potere della lettura, possiamo diventare famiglie felici, infelici, mogli sole, fedifraghe, appassionate, suicide. Per risvegliarci domani come prima. Chissà se sia un bene o un male. Chissà.
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