Per la prossima Giornata della Memoria la presidente dell’Unione comunità ebraiche italiane, Noemi di Segni, ha presentato un ricco programma di eventi. Al suo fianco il sottosegretario leghista alla presidenza del Cdm Giorgetti.

Che si è detto «preoccupato» dall’aumento del fenomeno razzista in Italia, «dimentico» del conflitto politico-istituzionale sullo sbarco dei migranti della Sea Watch Italia osteggiato dal ministro degli Interni e capo del suo partito. La memoria invece è una cosa importante, per questo occore riflettere sulla crisi politica, sociale, culturale e del diritto che attraversa da oltre un decennio il presente delle nostre società contemporanee. Che ha portato, nel quadro della più generale crisi della democrazia, alla riemersione di istanze denominate, a seconda dei contesti, «populiste» o «sovraniste» o «illiberali» che si compongono dell’armamentario storico dell’antisemitismo e delle forme di discriminazione etnico-razziali, sociali, di genere, omofobe, religiose o culturali.

Questi fattori però non hanno mai cessato di essere presenti nel corpo delle democrazie mature. Il sistema istituzionale (nazionale e sovranazionale europeo) e la società politica (i partiti e le classi dirigenti post-89) operarono un processo di sostanziale inclusione ed assorbimento di questi fattori all’interno dello spazio pubblico con l’idea di «normalizzarne» la codificazione in un sistema ad egemonia liberale. La risultante definitiva è stata un largo conferimento di cittadinanza alle spinte più retrive nel «nuovo» contesto globale post-89, nel nome di una malintesa idea di democrazia interpretata non come processo di emancipazione delle masse dentro la società complessa ma come spazio individualistico declinato, per sua natura, su una singolarità sconnessa con l’insieme. La loro riemersione rappresenta un sintomo visibile della natura e della misura della crisi della democrazia liberale più ancora che di un ritorno del fascismo nei termini storici che ne hanno caratterizzato la composizione all’interno della modernità novecentesca.

Quando ai termini della crisi sociale si sono aggiunti quelli delle crisi umanitarie la ridotta capacità di relazione, sintesi e indirizzo dei sistemi liberali e delle loro classi dirigenti ha prodotto una rottura profonda tra rappresentati e rappresentati minando una delle basi fondamentali della democrazia delegata e fornendo una radice d’origine alla ricomposizione di movimenti disintermediati e plebiscitario-leaderistici.

Storicamente fu l’antifascismo ad incaricarsi della costruzione di un perimetro largo ed inclusivo impiantato su una discriminate fondativa nata nel fuoco della seconda guerra mondiale. Alla «ragione delle idee» si affiancò però anche «la forza delle cose». Non ci si limitò agli appelli ai valori o all’agitazione di spettri di ritorno del fascismo. Si operò col lavoro, i diritti e l’istruzione per associare milioni di persone al nesso libertà-democrazia-collettività.

Di fronte alla crisi delle tradizionali «famiglie politiche» e sopratutto delle classi dirigenti economiche, sulle cui spalle gravano le responsabilità principali della crisi di legittimazione patita oggi dalla democrazia, il rischio più grave è rappresentato dal rovesciamento semantico della relazione causa-effetto.

Il riflesso condizionato dei comportamenti dei ceti popolari non deve essere scambiato come base di massa di forze e movimenti regressivi.

Su queste classi subalterne sono stati rovesciati il peso, il dramma e l’umiliazione della crisi del modello unico delle democrazie liberali e dell’esaurimento del suo ciclo storico espansivo-liberista.

Le periferie urbane, sociali, culturali e politiche delle nostre società non possono essere tacciate di qualunquismo, fascismo e razzismo solo perché hanno smesso di votare per la sinistra di mercato.

Quelle periferie sono sole da anni e lo sono anche ora che i populisti governano. È da questa solitudine e dalle umiliazioni patite nella crisi che emergono dal loro corpo profondo quelle manifestazioni retrive che tanto spaventano e allarmano.

È in quelle faglie sociali che vanno infilate le mani della politica e della cultura, per sottrarre alle destre il consenso della paura e per destrutturare alla base il suo modello di società categoriale che divide i titolari dei diritti sulla base di dualità orizzontali confliggenti (nativi/immigrati; uomini/donne; omo/eterosessuali).

Difficilmente saranno gli esorcismi liberali a ripararci dal ritorno degli spettri pericolosi del passato. Necessario, invece, l’esercizio di una legittima prassi di disconoscimento della società diseguale come formazione reale di anticorpi democratici.