Il mercato televisivo é in grande movimento. Sul fronte Rai, il Cda riunito a Milano ha approvato il piano Gubitosi sul riordino dei tg che vorrebbe consentire risparmi compresi tra 80 e 100 milioni di euro. «Arriveremo a una redazione unica, ma faremo prima un passaggio dividendo in due le nostre attuali testate», ha commentato il Direttore generale Gubitosi: le due newsroom assumeranno il nome di Rai Informazione 1 e Rai Informazione 2, entrambe con un direttore e sei vicedirettori.

All’esame del Consiglio, però, ora c’è un’altra questione scottante: l’informativa sull’offerta di Ei Towers per Rai Way (la società per azioni che possiede la rete di diffusione del segnale radiotelevisivo della Rai). «Il governo ha messo delle regole su Rai Way e non intende modificarle. E sono le regole che riguardano il 51%. Punto. Per me la discussione è finita qui»: così il Presidente del Consiglio con riferimento alla norma che prevede che la maggioranza di Rai Way resti in mano pubblica.

La crisi economica, riducendo gli introiti pubblicitari, ha costretto Rai e Mediaset a ridurre massicciamente i costi e a cercare nuove iniziative per evitare di chiudere ancora una volta i bilanci in perdita. Le soluzioni sembrano più difficili rispetto al passato: da un lato l’avanzata di alcuni importanti concorrenti (Sky in primis, ma non solo) e dall’altro lato il processo di convergenza con gli operatori telefonici hanno iniziato a scalfire il duopolio di mercato che ha consentito per lungo tempo a Mediaset di mantenere un’elevata redditività e alla Rai a restare a galla.

Il cambiamento sta avvenendo in modo repentino e il futuro della società del servizio pubblico continua a surriscaldare il clima politico: solo nella primavera dello scorso anno gli amministratori di Rai Way scrivevano nella relazione al bilancio dell’esercizio 2013 che «l’assetto della società è stabile, essendo interamente controllata dalla Rai attraverso una partecipazione diretta del 100%». Invece, dopo pochi mesi la società é stata quotata in borsa con il collocamento del 35% del capitale ed oggi é oggetto di un tentativo di scalata da parte della società gemella, EI Tower, del gruppo Mediaset.

Rai Way, in quanto società che gestisce la diffusione nell’etere del segnale televisivo della casa madre, da questo ricava quasi l’80 per cento del proprio giro d’affari (la restante parte sono corrispettivi per servizi prestati a enti pubblici, tra cui la Banca d’Italia, e ad alcuni gestori di telefonia mobile). Per trasmettere il segnale la società si avvale di oltre 2000 siti sparsi sul territorio, che prima del 2013 sono stati oggetto di importanti investimenti per consentire il passaggio al digitale terrestre.

Rai Way, però, in fondo, è una società medio-piccola: dà lavoro a circa 620 persone ed anche i dati economici finanziari rispecchiano la dimensione non grande. Nel 2013, data dell’ultimo esercizio prima della quotazione in borsa, il fatturato è stato di 219 milioni di euro e l’utile di 11,8 milioni. La situazione finanziaria è solida grazie alla generazione di rilevanti flussi di cassa (i debiti verso la controllante sono diminuiti in un solo anno di circa 63 milioni), essendosi conclusa la stagione degli investimenti per il passaggio al digitale terrestre.

La quotazione in borsa della società è stata la principale azione per ridurre l’indebitamento della Rai e iscrivere un’importante plusvalenza in bilancio. Poiché la capacità di fare profitto e quindi il valore di Rai Way dipende quasi esclusivamente dalle caratteristiche del contratto di servizio con la casa madre, questo è stato riscritto in un momento preciso, prima della scadenza del precedente contratto e prima della quotazione in borsa, per poter accrescere il prezzo della azioni cedute sul mercato. Secondo il prospetto informativo di collocamento, il nuovo contratto, molto più oneroso del precedente per la Rai, garantirebbe un utile di esercizio più che doppio per la controllata. L’essenza economica dell’operazione si rivela quindi molto simile ad una costosa operazione di finanziamento a lungo termine garantita dal contratto di fornitura, in cui l’eventuale calo nel costo del capitale tende ad accrescere il valore del finanziamento e quindi della società quotata stessa. Le caratteristiche del contratto (ad esempio durata, rinnovabilità, livelli di servizio, penali, calcolo dei prezzi), la possibilità o l’impossibilità di cambiare fornitore e l’insieme dei rischi sottostanti rappresentano variabili decisive per stimarne il valore. In particolare, la questione della durata di sette anni, rinnovabili per due volte, può garantire adeguatamente la Rai in caso di cambiamento del controllo della partecipata? Sempre nell’informativa di collocamento è scritto che le caratteristiche tecniche della fornitura rendono difficilmente praticabile una sostituzione del fornitore.

Il carattere capestro del contratto, cioè il fatto che esso sia nettamente sbilanciato a favore di una parte e a discapito dell’altra, è indirettamente confermato dalla cifra offerta da Mediaset: oltre 1,2 miliardi di euro, per acquisire una società che ne fattura poco più di 200. La cifra solleva inoltre interrogativi sulle garanzie date all’intermediario estero che garantisce l’operazione.

Per quanto sembra fin qui, nonostante Renzi abbia detto che si devono «considerare le operazioni di mercato per quelle che sono: non operazioni politiche, ma di mercato. Per questo serve la libertà di chi è sul mercato e il rispetto delle regole», risulterebbe però che le caratteristiche del mercato non siano concorrenziali. Ciò vale anche per la situazione sostanzialmente identica di Mediaset e la controllata EI Tower.

Il mercato non è soggetto ad alcuna forma di controllo amministrativo da parte di un’autority indipendente perché finora lo sbilanciamento di poteri tra i contraenti è reso ininfluente dai rapporti di controllo esistenti tra di essi. Ma la non concorrenzialità del mercato non implica che non vi siano evidenti economie tecniche ed anche vantaggi ambientali a partire da una eventuale operazione di concentrazione tra due operatori sostanzialmente simili come Rai Way e Il Tower. Che, data la forma di mercato, non possono essere perseguiti attraverso operazioni di acquisizione da parte di uno dei due clienti delle due società. La ricerca di altre forme possibili di aggregazione è però resa più difficoltosa dalla recente quotazione in borsa di Rai Way e dalla condotta che l’ha preceduta. Staremo a vedere.