Michele Soavi è l’ultimo grande rappresentante del cinema di genere italiano. Uno che si è fatto le ossa passando dai set di Umberto Lenzi (Il grande attacco) a quelli di Ciro Ippolito (Alien 2: Sulla terra). Regista che è morto atrocemente per Lucio Fulci in Paura nella città dei morti viventi prima di approdare alla corte dei miracoli del grande Joe D’Amato per il quale appare in un cameo motociclistico in Rosso sangue (sequel di Antropophagus). Anche per D’Amato muore fra tormenti inenarrabili (Caligola: la storia mai raccontata) e continua ad apparire nei film di Lamberto Bava (lui è quello che in Dèmoni distribuisce i volantini in metro), Ruggero Deodato e inizia a frequentare i set di Dario Argento.

GRAZIE a D’Amato esordisce con un film che ormai è considerato un classico a tutti gli effetti del thriller italiano, quel Deliria che vince un prestigioso primo premio ad Avoriaz, lanciando Soavi nell’empireo dei maestri. Tecnicamente dotatissimo, non a caso lavora come seconda unità di Terry Gilliam per Le avventure del Barone Münchhausen, Soavi riesce a cogliere per un attimo gli ultimi bagliori del crepuscolo del cinema di genere nostrano marchiandolo a fondo con titoli come La setta, La chiesa, Dellamorte Dellamore, prima di avviarsi a una proficua carriera televisiva con Ultimo 2 – La sfida che fra altissimi (Uno Bianca) e bassissimi (Il sangue dei vinti) continua con successo anche oggi come dimostra la prima stagione di Rocco Schiavone. Dal grande schermo Soavi mancava dai tempi del magnifico Arrivederci amore ciao e inevitabilmente le attese e la curiosità nei confronti di La Befana vien di notte, scritto da Nicola Guaglianone, erano legittimamente alte.

INTERPRETATO da Paola Cortellesi, il film è una gradevole favola per bambini che tenta di ricontestualizzare in chiave contemporanea il mito della Befana. L’operazione, in sé interessante, non riesce purtroppo mai pienamente a decollare, nonostante alcuni spunti interessanti e riusciti. Soavi dal canto suo è come se fosse indeciso fra il desiderio di dimostrare di non avere perso il suo piglio visionario e arrembante ed essere capace di non lasciarsi prendere la mano dagli spunti fantastici della materia, mentre Guaglianone, a sua volta, tenta di non andare al di là di quel che dalle nostre parti si suppone debba essere un film per bambini. Motivo per cui, senza essere un film sbagliato, La Befana vien di notte resta un po’ come a metà del guado: fra ciò che avrebbe potuto essere e i desideri di una produzione che ha scelto di non osare troppo (e invece sarebbe stato molto interessante vedere Soavi e Guaglianone lavorare insieme a tutto gas…).

LA BEFANA vien di notte avrebbe beneficiato di un tocco alla Zemeckis oppure in stile Gremlins, e il talento per andare in una direzione simile c’era. Così com’è il film rischia purtroppo di scontentare grandi (gli aficionados di Soavi) e piccini che crescono ormai con dosi di ferocia e cattiveria e sarcasmo e ironia inimmaginabili anche solo qualche anno fa. Resta da sperare solo che Soavi e Guaglianone ci riprovino, ma da par loro, giocando a tutto campo.