In Siria poco dopo le prime manifestazioni contro il regime di Assad è nata una doppia narrativa. Da una parte lo stato e i media pubblici controllati hanno iniziato a ignorare le proteste, dall’altra i ribelli e l’Esercito libero siriano parlavano di morte e distruzioni catastrofiche. Da quel momento è partita una doppia rappresentazione degli eventi, una doppia verità per la quale ognuno è tenuto a schierarsi per l’una o l’altra parte: i buoni o i cattivi. Lo stesso sta avvenendo in altre forme in Egitto. È in corso una distinzione nella rappresentazione degli eventi tra televisioni pubbliche e private da una parte, e canali islamisti e filo-islamisti, dall’altra. La privata Ontv, o le televisioni pubbliche mandano in onda le stazioni di polizia assaltate, immagini di jihadisti che consegnano armi ai manifestanti, con la scritta in sovraimpressione «L’Egitto lotta contro il terrorismo». La voce dei Fratelli musulmani è invece rappresentata da Al-Jazeera, la televisione filo-islamista del Qatar.
Dopo la fioritura di canali islamisti e salafiti, con il colpo di stato del 3 luglio scorso è arrivata la censura. Sono state oscurate 14 reti televisive, tra cui le emittenti Misr 25, fondata dopo le rivolte del gennaio 2011 e due canali salafiti molto popolari: al-Nas (la gente) e al-Hafez (il guardiano). Le forze di sicurezza hanno fatto irruzione anche nella sede del Cairo di Al-Jazeera, arrestandone il personale. E così la copertura degli eventi di Rabaa è stata assicurata da canali giordani, turchi e del Qatar, ma non dalle tv egiziane. Non solo, le autorità, come dopo la destituzione di Hosni Mubarak e in occasione delle elezioni presidenziali del 2012, hanno diffuso sentimenti di odio verso gli stranieri. Ma questa volta rendendo più netta la distinzione tra spie e giornalisti.
E i primi a pagare sono proprio reporter e fotografi, anche egiziani, come nel caso del giornalista Tamer Abdel Raouf del quotidiano filo-governativo Al-Ahram, ucciso ieri in una sparatoria. Non si conta poi il numero di fotografi malmenati e consegnati dai comitati popolari all’esercito. Tra loro, il corrispondente del Guardian, Patrick Kingsley, del Washington Post, Abigail Hauslohner, dell’Independent, Alastair Beach, del Wall Street Journal, Matt Bradley. È andata male anche ai filmmaker canadesi John Greyson e Tarek Loubani che sono stati arrestati mentre tentavano di raggiungere Gaza. Infine, il noto comico americano John Stewart è stato tratto in arresto di fronte alla polizia di Azbakeya. E come se non bastasse, il Servizio di informazione ha emesso una nota in cui accusa i media stranieri di «non fare riferimenti alle vittime delle forze armate», di «essere orientati a favore dei Fratelli musulmani», di «ignorare che la Fratellanza chiede il sostegno di Al-Qaeda». Insomma, di raccontare un’altra verità.