Trentaquattro anni, redattrice freelance al sicuro nel suo appartamento di Tokyo, Fuyuko sfoglia manoscritti matita alla mano senza nessuna pietà per i refusi. Non ha amici, non beve, non ascolta musica, non va al cinema, non fa sport direbbe se conoscesse il pezzo dei Cccp. Fuyuko è anche la protagonista di Gli amanti della notte di Mieko Kawakami (e/o, traduzione di Gianluca Coci, pp. 278, euro 19,5o).

A PARTE DORMIRE, come occupa il tempo in cui non lavora? L’unica cosa che le viene in mente pensando al suo tempo libero è «un foglio di carta bianca con una miriade di caratteri stampati in perfetto ordine e nel pieno rispetto delle norme redazionali». La sua mesta routine vacilla quando Hijiri, editor in una casa editrice, la strappa al suo ascetismo con serate alcoliche nell’afosa estate della capitale. E proprio l’alcol darà a Fuyuko la spinta di cui aveva bisogno. Decide di iscriversi a un corso sui fondamenti della tragedia occidentale, in un inebriato tentativo di auto-miglioramento per il quale segue un regime costante: quattro lattine di birra da 350 ml la mattina, e una borraccia di sakè freddo da consumare all’occorrenza. E là, in fila per l’iscrizione, incontra il cinquantenne Mitsutsuka, un attimo prima di vomitargli sulle scarpe. Mitsutsuka è un professore di fisica che si materializza nei suoi momenti di vulnerabilità; le confessa la sua ossessione per il contrasto tra luce e tenebra; le dice quello che sa (e non sa) sui fotoni, e così comincia tra i due una relazione molto cauta e delicata.

È ALLA LUCE DEI LAMPIONI che questo amore sembra rinsaldarsi: «Perché la notte è così bella? Senza dubbio perché nel cuore della notte il mondo si dimezza» si dicono i due amanti. La notte è anche oscurità, la stessa in cui Fuyuko si nasconde dall’incapacità di misurarsi con standard impossibili di bellezza, spesso rappresentati dall’editor Hijiri. È qui e nella compagnia silenziosa di Mitsutsuka che Fuyuko trova il suo rifugio notturno sulle note della Berceuse di Chopin, ed è nel sakè che invece cerca la forza di lavorare con metodo alla luce del giorno.

Ciò che rende il romanzo di Kawakami così brillante è il tentativo di comprendere le donne che aderiscono loro malgrado a una femminilità performativa, e il desiderio di essere amate non è una spinta da poco. Il cambiamento di Fuyuko è intelligente e inevitabile: si vede ancora miserabile per la maggior parte del tempo, ma più in sintonia con le ipocrisie autoimposte dal suo essere donna. Una distonia fra aspettative e realtà che ha di fronte in continuazione: come quando quella conoscente le racconta di come la maternità l’abbia privata dell’indipendenza senza mai smettere di caldeggiarle l’idea di fare figli. Fuyuko non desidera una vita che considera sminuita, eppure tenta lo stesso la via di una relazione amorosa. Ma se nei suoi sogni esiste una Fuyuko immersa in una beatitudine domestica, di pagina in pagina questa storia d’amore si dirige verso un epilogo tragico, disinnescato a sorpresa proprio dalla stessa Fuyuko, ormai diversa dalla persona che era prima di incontrare Mitsutsuka.

ANCHE in Gli amanti della notte, come era stato anche in Seni e uova, Kawakami si occupa del corpo e delle sue percezioni. La coscienza di Fuyuko è compressa in un involucro che la mortifica per poi darle la spensieratezza dell’alcol. Il corpo si svela senza abbellimenti nei dolori, gli appetiti, le secrezioni già da quando Fuyuko e Mitsutsuka si incontrano per la prima volta: lei ha la nausea, corre verso il bagno senza riuscire a trattenere i conati, però la sua mente è chiara, lucida. Coscienza e corpo, spirito e materia si rincorrono nel libro. Gli uomini, al contrario, sono quasi assenti e in posizione marginale.

La critica di Kawakami all’attitudine misogina e androcentrica che pervade la società giapponese e la letteratura mainstream è ben nota. Un’oppressione di tipo patriarcale che «è stata introiettata da molte donne» come ha avuto modo di dire su Tokyo Weekender. Senza sentimentalismi, Kawakami si concentra sugli spazi femminili e così fa anche in Gli amanti della notte. Non c’è spazio per la redenzione, perché nei suoi romanzi non c’è colpa; soltanto, la ricerca della felicità. E chissà cosa direbbe di questa ricerca proprio Fuyuko, se tra le mani si trovasse il manoscritto di questo romanzo e cercasse di correggere gli errori della sua storia. Ma come dice Hijiri, «non c’è niente da fare, il libro perfetto non esiste».