John Shirley, tra i principali autori della generazione cyberpunk con capolavori del calibro di Il rock della città vivente o della trilogia A Song Called Youth e recentemente dedito alla novelization di videogiochi di successo, ha pubblicato il seguente post sulla sua pagina Facebook: «Dato che sei un giocatore esperto, probabilmente sai che Destiny è un videogioco esclusivamente online.

Ma io non lo sapevo. Pur avendolo acquistato… io non ho Destiny. Ho dovuto riportarlo al negozio: l’ho acquistato perché le promo dicevano che era uno sparatutto in prima persona ed alcuni qui ne davano giudizi estremamente positivi e… che ci stavano giocando con l’Xbox360. Ma ha bisogno di Xbox Live o del corrispondente per la Playstation, ecc. Ho chiesto al commesso del negozio – che mi ha permesso di restituire il gioco – e mi ha detto che ci sono solo tre giochi come quello: Destiny, Titanfall e un qualche gioco di zombie. Così non è che questa cosa sia la normalità… dopo che già avevo inserito il dischetto nella mia console, ho visto l’avvertenza «online only» sull’angolo del contenitore…

Perché non gioco ai videogame online? Ai tempi di Call of Duty ho giocato a CoD per PC online. Ho scoperto che la cosa mi causava dipendenza, che era irritante (per la presenza di giocatori che baravano) e generalmente stressante, ma la parte peggiore era: il dispendio di tempo! Avrei potuto scrivere due romanzi e una sceneggiatura con l’energia che vi ho speso. L’occasionale dedizione ad uno sparatutto in prima persona o ad un gioco di ruolo in single player è qualcosa che posso gestire. Ma si tratta di qualcosa di comparabile ad un bicchiere di vino a confronto dell’eroina (o magari crack, cocaina o simili) di un gioco FPS online…».

DESTINY A

Il post di Shirley mette in luce due questioni: il concetto di «possesso» di un videogioco (o di un’opera digitale in genere) e la «dipendenza» che creano i videogiochi online. Nonostante a Shirley ed alla maggior parte di noi possa sembrare che la copia di un videogioco offline, un ebook, un programma da noi acquistato sia «nostra», succede perché non leggiamo con attenzione il documento End User License Agreement che c’informa che l’azienda produttrice ci consente (fino a quando lo riterrà opportuno) di lasciarci usare il contenuto che rimane comunque di sua esclusiva proprietà.

La cosa ovviamente si fa penalizzante per l’ «utente finale» nel caso in cui l’opera acquistata (ma a questo punto sarebbe più opportuno utilizzare il termine «noleggiata») sia fruibile solo online o comunque in contesti dove l’azienda abbia un controllo diretto su essa (come ad esempio Amazon sugli ebook nei Kindle, o Apple sugli iPad/Phone).

Resta la questione della «dipendenza» che, come spiegano bene L. Kutner e C.K. Olson nel libro (purtroppo mai tradotto in italiano) Grand Theft Childhood: The Surprising Truth About Violent Video Games, non è mai stato dimostrato scientificamente trattarsi di «dipendenza» reale, fisiologica. Tuttavia rimane il fatto che il gioco online prevedendo attività routinarie per l’avanzamento di livello («farming») e il coordinamento con altri giocatori per sfide «epiche» causa situazioni come quella che racconta Jaime D’Alessandro in Play 2.0: trascorrere 1.400 ore effettive di gioco nei due anni passati a giocare con Dark Age of Camelot.

Destiny può fare questo effetto? Certamente è un titolo coraggioso e innovativo: per quanto lo story-mode possa essere giocato in singolo, non è la modalità ideale anche perché Destiny punta non su una storia coinvolgente ma su un vasto mondo farcito di nemici e boss da eliminare nel corso di missioni relativamente lineari e gestibili al meglio trovando il modo di collaborare con altri giocatori. Non siamo pertanto di fronte ad un «massive multiplayer online role play game» o and un frenetico shooter online ma piuttosto ad un mix di shooter cooperativo e di gioco di ruolo.

L’interesse di Destiny, al di là della guerra dei numeri con gli altri blockbuster videoludici di fine/inizio ciclo di vita della generazione di hardware, sta non nella storia relativamente banale o nella grafica grandiosa, non nel gameplay, ma piuttosto nell’idea di un «cooperative multiplayer role shooter», in una strategia nuova di coinvolgimento online dei giocatori. La sfida di Destiny, piuttosto che nel successo del «day one», sta nella capacità di ideare un nuovo modo di stare in rete assieme a giocare.