«Prove di Resistenza», «Curare il performativo decoloniale», «Allenarsi alla coscienza di classe egemonica» sono titoli di piattaforme, workshops e corsi stagionali tenuti da espert@ di tecniche awoke nell’ambito teorico politico e performativo dell’arte contemporanea. L’obsolescenza di questi approcci è stata resa evidente dagli enormi eventi di questi mesi. Quando Angelica Pesarini allo scoppiare delle rivolte di Black Lives Matter scrive: «…la frustrazione ha preso il sopravvento obbligandomi a riflettere su certe questioni riguardanti il corpo nero e la sua percezione, un senso di mancata consapevolezza del proprio posizionamento e la dimensione prettamente performativa di un certo antirazzismo italiano.» basa il suo disagio proprio sul momento performativo di protesta indicandolo come privilegiato e momentaneo, quindi incongruente e inaderente, ho un riscontro dello stesso sentire.

Chi, in vari gradi, per genere etnia cittadinanza e posizione sociale, deve negoziare costantemente per far quadrare le economie, gli affetti, i diritti e i doveri, quindi la salute mentale sua e di chi gli sta vicino, ne ha piene le scatole del veder sostituito all’impegno della scelta e del bene comune, la passeggera pratica performativa di happy few. Chi in arte, e nel mondo culturale, si diletta a far safari nell’attivismo politico promuove un’economia della visibilità e della posa, per cui si presenzia sempre e comunque, a condizioni d’ingaggio a zero. Perpetuando lo sfruttamento del lavoro cognitivo e delle proprie risorse intellettuali, senza di fatto scegliere cosa e a quali condizioni mettere in atto. Che se si discute di buttare sul selciato o archiviare altrove la statua di Montanelli e l’obelisco al Flaminio si scandalizza e fugge. Si appendono disegni del corpo di Assange da vendere in aste digitali in musei chiusi che nessuno può visitare, perpetuando un assetto cinico che coltiva una posata distanza, si sollecitano anche in arte, prese di posizione pubbliche e chiare, a condizioni d’ingaggio dignitose per tutti, ma che sarebbe grande avessero incipit di ius solis & culturae.

Visto che fuori il mondo brucia e Aboubakar Soumahoro sta lottando anche per noi. Il corpo, elemento fondamentale della performance, e terreno di colonizzazione, si sta liberando passando alla rivolta emancipatoria attraverso la pandemia mortifera. ‘Free your ass and your mind will follow’, consigliava un tune afro americano che comincia con il sedere.