Lo scorso dicembre Petrus François Smith, per tutti “Franco”, sudafricano di 47 anni, è stato nominato head coach della nazionale italiana di rugby. Il suo contratto è a interim, fino alla fine del Sei Nazioni 2020. Poi si vedrà. Non esattamente il massimo per un allenatore che conosce il nostro rugby come pochi altri, avendo trascorso ben dieci anni della sua carriera in Italia: quattro da giocatore e sei da allenatore della Benetton Treviso, prima di tornare in patria ad allenare i Cheetas di Bloemfontein. Sul suo nome nessuno o quasi ha obiettato alcunché, sebbene molti abbiano trovato singolare quella scadenza così a breve termine. Franco Smith succede a Conor O’Shea, che ha risolto con qualche mese di anticipo il contratto che lo legava alla federazione italiana.

IL RUGBY italiano vive il momento più buio da quando, anno 2000, la nazionale ha incominciato il suo cammino nel torneo delle Sei Nazioni. Il mondiale in Giappone si è concluso malamente, con il brutto epilogo contro il Sudafrica e le inutili polemiche sulla cancellazione del match con la Nuova Zelanda (causa il tifone che in quelle ore devastò le coste nipponiche causando più di 70 vittime). Nel Sei Nazioni l’Italia non vince una partita dal 2015. Le franchigie italiane impegnate nelle coppe europee collezionano sconfitte e spalti semi-vuoti. Unico squillo di questo stentato quinquennio, la vittoria sugli Springboks a Firenze nel novembre 2016. Per il resto, il rugby azzurro non è riuscito a reggere il passo con l’accelerazione che il passaggio al professionismo ha impresso sul mondo ovale; e con il passare del tempo il gap tecnico e culturale è divenuto sempre più evidente. Sconfitta dopo sconfitta, anche l’affetto dei tifosi ha cominciato a scemare: nell’ultimo biennio è calato anche il pubblico che segue la nazionale nei suoi impegni all’Olimpico.

IL PROSSIMO autunno, dopo i Giochi di Tokyo, la federazione sceglierà il nuovo presidente che prenderà il posto di Alfredo Gavazzi, in carica ininterrottamente dal 2012. Quattro le candidature finora in campo, accompagnate da proclami di discontinuità e inevitabili polemiche. Il contratto ad interim per Franco Smith è in parte dovuto a questa situazione di incertezza. Smith fa dunque il suo esordio sulla panchina azzurra in un momento piuttosto complicato. Domani, al Principality Stadium di Cardiff, la sua nazionale incomincia il cammino nel Sei Nazioni contro i gallesi, campioni in carica e quarti nel ranking mondiale. Poi, domenica 9 febbraio, sarà la volta della Francia a Parigi. La prima sfida in casa sarà con la Scozia, il 22 febbraio: per quasi un ventennio è stato questo il confronto che ha deciso chi avrebbe occupato l’ultimo posto in classifica meritando il poco ambito “cucchiaio di legno”. I primi due impegni in trasferta saranno dunque utili per testare la consistenza della squadra azzurra, il suo morale, la voglia di riscatto.

SERGIO PARISSE, 36 anni e 142 presenze in nazionale, capitano per un decennio, forse il giocatore più forte nella storia del nostro rugby, non sarà in campo. Lo rivedremo probabilmente in occasione del match con la Scozia, quando giocherà la sua ultima partita con la maglia azzurra. Non ci sarà nemmeno il suo scudiero Leonardo Ghiraldini, che lo scorso autunno ha dato l’addio alla carriera internazionale. Assente anche Andrea Campagnaro (stagione finita), mentre Ruzza, Ferrari e Violi devono recuperare dagli infortuni.

La squadra che Smith manda in campo contro i gallesi ha un solo esordiente: è il ventunenne seconda linea Niccolò Cannone, fiorentino in forza al Petrarca Padova ma già impiegato dalla Benetton quale permit player. E’ lui la novità nel quindici di partenza, oltre alla presenza di Carlo Canna schierato nel ruolo non di apertura ma di primo centro. La fascia di capitano va invece al tallonatore Luca Bigi, 28 anni e 24 presenze in nazionale.

Il pronostico vede inevitabilmente favorito il Galles. Ma rispetto all’ultimo anno e mezzo, che ha visto l’Italia incassare una media di 37 punti a partita contro le squadre di prima fascia, ci si attende qualche confortante segnale dalla difesa azzurra e percentuali più dignitose nei placcaggi ben eseguiti. E’ qui che gli azzurri possono e devono segnare un cambio di passo, altrimenti ogni sfida è destinata a vederli soccombere sotto una valanga di mete.

Le formazioni:

Galles: Halfpenny; McNicholl, North, Parkes, Adams; Biggar, T. Williams; Faletau, Tipuric, Wainwright; Wyn Jones, Ball; Lewis, Owens, W. Jones.

Italia: Minozzi; Sarto, Morisi, Canna, Bellini; Allan, Braley; Steyn, Negri, Polledri; Cannone, Zanni; Zilocchi, Bigi, Lovotti.