Ogni volta che si avvicina l’assemblea condominiale, mi viene voglia di cambiare casa. Nel palazzo dove abito vive un condomino che è la summa del peggior vicino di casa. Non fa rumori molesti, non butta cicche di sigaretta dalle finestre, non allaga i balconi sottostanti con l’acqua dei suoi vasi, non occupa indebitamente spazi comuni, non fa, quindi, la maggior parte delle cose di cui si lamenta la maggior parte degli italiani riguardo ai vicini di casa. Fa di peggio. Vive per impedire agli altri di vivere. Vive nel perenne rancore.
Le modalità preferite del suddetto molesto condomino sono due. La prima è dire sempre di no, anche alle cose obbligate come lasciar parcheggiare le biciclette in cortile. La seconda è fare causa al condominio per la più piccola banalità. L’ultima l’ha mossa per avere due contatori che conteggino uno il consumo dell’acqua potabile e l’altro quella per il riscaldamento. Qualcuno gli ha spiegato che era una divisione risibile, ma lui si è incaponito. Siamo finiti davanti al giudice di pace che, avendo ben altre grane di cui occuparsi, ha detto “Per favore mettetevi d’accordo”, e così, per evitare ulteriori discussioni, sono stati installati due contatori. Non gli è bastato. Adesso chiede che il condominio paghi le sue spese legali.

PER ALCUNI ANNI alcuni di noi si sono lasciati trascinare nello scontro diretto, che a volte finiva in lite con male parole di qua e di là. Quando abbiamo capito che al molestatore non interessava vincere, ma solo dare fastidio, abbiamo cambiato tattica. Da allora siamo riusciti ad arginare le sue provocazioni facendo fronte comune. C’è da decidere di ristrutturare l’ex portineria? Lui vota e no e noi diciamo di sì. C’è da cambiare l’ascensore? Lui vota no e noi scegliamo ditta e preventivo. C’è da rinnovare la caldaia? Lui vota no e noi procediamo senza tener conto dei suoi veti. Ormai vota di no su tutto, anche contro i propri interessi, ma si sa, quando uno è abitato dalla frustrazione, non sarà certo un vicino di casa a salvarlo da se stesso.
Il condominio, in Italia, è una delle più potenti fonti di conflitto. Una recente ricerca di Changes Unipol, elaborata da Ipsos, dice che un italiano su tre discute con il vicino di casa. La città che si accapiglia di più sarebbe Napoli dove il 37% ha litigato almeno una volta con un abitante prossimo, seguono Roma (34%), Cagliari (33%), Torino (31%). Le più tolleranti sarebbero Firenze, dove il 79% non avrebbe mai avuto problemi, poi Milano e Verona con il 75%, quindi vuol dire che il condominio dove abito io, a Milano, è nella lista nera che abbassa quella media.

DIFENDERSI dal rancore è una delle cose più difficili al mondo perché il rancore non cerca l’incontro, ma lavora per lo scontro. Le divergenze si appianano se entrambe le parti lo vogliono. Se uno non vuole, all’altro non resta che fare il muro di gomma, cosa che non porta la pace, ma solo una tregua.
Se, nel nostro piccolo, siamo riusciti a non farci più trascinare negli estremi sgradevoli della lite, lo si deve alle capacità mediatrici dei consiglieri e al fatto che i più fumini, fra cui mi metto, o hanno cambiato abitazione o hanno fatto un passo indietro. Riconosco che quest’ultima è una posizione di comodo, nel senso che lascio fare ad altri un lavoro, faticoso, che io non voglio e non so sobbarcarmi.
Rendo onore ai mediatori e a chi ha il dono della diplomazia. Dentro di me, tuttavia, resta una vocina che, con confuciana pazienza, aspetta sulla riva del fiume, sicura che chi rende faticosa la vita degli altri vive infelicemente la propria.

mariangela.mianiti@gmail.com