La missione DART è compiuta: poco dopo l’una di notte tra lunedì e martedì, la navicella della Nasa lanciata dieci mesi fa dalla Terra ha colpito in pieno l’asteroide Dimorphos a oltre dieci milioni di chilometri di distanza per deviarne la traiettoria. Lo schianto avvenuto a una velocità di 22 mila chilometri all’ora è stato documentato sia dalla telecamera montata sulla navicella che dai telescopi a terra. Quali siano gli effetti della collisione è ancora da stabilire. Serviranno settimane per ricevere le immagini dello scontro scattatedal minisatelite LICIACube. Insieme alle osservazioni dalla Terra, permetteranno di capire se il percorso dell’asteroide sia cambiato e quanto. I tecnici Nasa prevedono che l’orbita di Dimorphos intorno all’asteroide più grande Dydimos si sia accorciata di 10 minuti a causa dell’urto. Se le previsioni si riveleranno azzeccate, il primo esperimento di «difesa planetaria» potrà dirsi riuscito. Altrimenti, serviranno nuovi test. Quello della Nasa non è l’unico in programma. Anche la Cina sta mettendo a punto il suo programma di deviazione di asteroidi. Dopo un primo annuncio in aprile, a luglio Long Lehao – capo progettista dei razzi “Lunga Marcia” usati dall’agenzia spaziale cinese – ha rivelato qualche particolare in più durante una conferenza pubblica. Una missione cinese partirà nel 2026 e punterà a lanciare un veicolo simile a DART contro un altro asteroide denominato «2020 PN1». Pechino invierà anche una sonda che orbitando intorno all’asteroide registri l’impatto. PN1, con un diametro stimato tra i 10 e i 60 metri, è più piccolo di Dimorphos, largo circa 160 metri. Le dimensioni inferiori richiedono maggiore precisione ma rendono più facile deviarne la traiettoria.

E se un giorno si presentasse un asteroide di dimensioni maggiori di quelli presi di mira finora? Il National space science center cinese ha già elaborato due ambiziosi progetti per fronteggiare asteroidi più grandi di Dimorphos o PN1, l’«Enhanced Kinetic Impactor» e l’«Assembled Kinetic Impactor». Il primo consiste in un veicolo che, nel tragitto verso l’asteroide da colpire, faccia tappa su un asteroide intermedio per imbarcare fino a duecento tonnellate di roccia e moltiplicare la forza d’urto. Si potrebbero così deflettere asteroidi dieci volte più grandi rispetto ai quelli attuali. Anche il secondo progetto sfrutta una massa addizionale: quella di uno degli stadi del razzo lanciatore che rimarrebbe agganciato alla navicella fino all’impatto.

Dopo l’esplorazione lunare e le stazioni spaziali (la Cina sta assemblando la sua), anche la difesa planetaria diventa un terreno di competizione tra Washington e Pechino. Impossibile non notare le somiglianze tra l’attuale corsa allo spazio e quella che oppose Usa e Urss negli anni ‘60 e ‘70 del Novecento. L’opinione pubblica la seguì come un’avventura scientifica di cui, come nel caso della «difesa planetaria», avrebbe beneficiato l’intera umanità. Il duello, tuttavia, era alimentato anche da gruppi di pressione più pragmatici, interessati ad allineare gli investimenti in ricerca e sviluppo agli interessi militari e industriali nazionali. L’Urss non resse la competizione né su un piano né sull’altro e fu costretta ad arrendersi. Usa e Cina sembrano destinate allo stesso destino e il mondo rischia di venirne di nuovo schiacciato. Sganciare dalla lotta tra superpotenze il volano per l’innovazione tecnologica – in campo spaziale, e soprattutto energetico e sanitario – è una delle sfide del secolo che ci attende.