Il centrodestra non c’è più o forse non c’è ancora. La sola cosa certa è che gli assetti attuali della coalizione, già tenuti insieme solo dalla necessità, sono franati. Tutti lo sanno, pochi lo ammettono. Capita così che volino stracci da tutte le parti. Toti, vincitore in Liguria, si permette di suggerire a Salvini di procedere come capo della coalizione e non più solo come capopartito. Il leghista Rixi risponde a mazzate: «Si ricordi che se è ancora presidente lo deve a Salvini». Non proprio il massimo dell’eleganza. In Puglia è peggio. Il capo leghista spara a zero contro le «candidature sbagliate», quelle di Caldoro e Fitto che «non hanno scaldato i cuori». In effetti, lui Fitto proprio non lo voleva. A rispondere con le cattive stavolta è il coordinatore regionale di FdI: «Fitto lo abbiamo scelto tutti. Purtroppo si è assistito a un forte ridimensionamento degli altri partiti del centrodestra, con la Lega che passa dal 25,9% delle europee al 9,57». Veleno puro.

IL SUGGERIMENTO DI TOTI a Salvini si limita in realtà a esprimere, con garbo, quello che soprattutto in Forza Italia ripetono tutti: né Salvini né Giorgia Meloni hanno dimostrato di poter guidare una coalizione. Sono leader di partito e pensano solo all’interesse del loro partito. L’azzurro Brunetta, al solito irruento, lo dichiara senza alcuna remora: «Non è mai stato il leader del centrodestra. Ha preso decisioni unilaterali parlando solo per la Lega». Berlusconi ufficialmente non parla ma fa filtrare il suo parere. Con lui in campo, non c’è nemmeno da discutere, le cose sarebbero andate in tutt’altro modo. I governatori uscenti sono stati premiati dalla pandemia e dal senso di protezione che hanno saputo dare agli elettori ma è un trionfo effimero. Tutto sta a conquistare gli indecisi e per questo ci vuole il partito moderato. Un modo come un altro per escludere dalla leadership i soci, di cui tutto si può dire tranne che attraggano i moderati.

L’INSOFFERENZA FORZISTA è alle stelle. Anche la mozione di sfiducia contro la ministra Azzolina, che verrà discussa al Senato la prossima settimana, crea malumori a volontà. La presidente dei senatori azzurri Bernini non ha presentato né sottoscritto alcuna mozione. Fi voterà quella della Lega, perché un voto contro il governo non si nega mai, ma nella convinzione che mozioni votate alla sconfitta servano solo a rafforzare il governo. Il 30 i deputati di Fi si riuniranno per analizzare il voto. Lunedì li precederanno i dirigenti. In entrambe le occasioni il pollice verso contro la leadership del capo leghista sarà più o meno unanime.

Salvini tiene botta. Ieri pomeriggio si è incontrato con i capigruppo, il numero due Giorgetti e Calderoli. La decisione, del resto già nell’aria, è stata quella di dar vita a una segreteria politica, che affiancherà il capo. Nessuna autocritica. Nessun ripensamento. Ma anche nessun atto d’accusa esplicito. I malumori ci sono. Corrono sotto pelle. Si appuntano soprattutto sugli «estremisti» Borghi e Bagnai. Lo stesso Giorgetti, in privato, scalpita. Ma per ora nella Lega non cambia niente. E neppure in FdI, che del resto è la sola forza di destra uscita rafforzata dal voto. «Il premier? Sarà chi prende un voto in più», taglia corto sorella Giorgia. Precisamente l’ottica di competizione interna che ha sin qui impedito al centrodestra di diventare una vera alleanza con ambizioni di governo.

I LEADER, ASSICURA SALVINI, si sentiranno presto,«ora che il quadro è chiaro». Potranno dirsi ben poco. La situazione è quella che è e per ora non c’è via d’uscita. La soluzione, anche se nessuno lo ammetterebbe mai apertamente né nella destra né nella Lega, passa per la sostituzione di Matteo Salvini, eventualità impensabile sino a pochi mesi fa ma che oggi inizia a diventare realistica. «Oggi è prematuro», commenta un dirigente azzurro, e il sottinteso è che molto presto potrebbe non esserlo più.

DEL RESTO È L’EVENTUALITÀ più temuta dall’altra parte della barricata. Perché domani una Lega ripulita dalle intemperanze tribunizie del capo, e di conseguenza accettabile anche per Bruxelles, potrebbe lanciare la proposta di un governo di unità nazionale contro la crisi e quella, al momento, è la sola carta che spaventi Conte.