«In Polonia, la crisi ucraina ha fatto emergere un paradosso. Il leader della destra Jaroslaw Kaczynski, che a Varsavia consideriamo come un euroscettico convinto, è corso a Kiev atteggiandosi a sostenitore dell’Europa politica e delle sue virtù». Le parole del filosofo Wojciech Sadurski sintetizzano bene l’eco che la situazione dell’Ucraina sta conoscendo in Polonia. Nel paese che per primo riconobbe l’indipendenza di Kiev da Mosca nel 1991 e che vanta con l’Ucraina una partnership economica e una stretta collaborazione militare, dal 1997 esiste un battaglione misto polacco-ucraino nell’ambito della Nato, l’Euromaidan è diventata rapidamente un tema di sfida per la politica interna.
In particolare è stato il leader dell’opposizione ultraconservatrice Jaroslaw Kaczynski ad utilizzare il dramma di Kiev per contrapporsi al primo ministro liberale Donald Tusk, giudicato «troppo attendista». Quanto a lui, Kaczynski, non ha perso tempo nell’affiancare fin da dicembre i leader dell’opposizione a Yanukovich sia nella piazza dell’Indipendenza di Kiev che in diversi centri dell’Ucraina occidentale, a maggioranza cattolica, per la cui popolazione si è mobilitata anche la Chiesa polacca. Tutto questo attivismo non è però casuale. Da alcuni mesi i sondaggi danno infatti il suo partito in testa sia in vista delle europee e delle amministrative di maggio che delle politiche che si svolgeranno il prossimo anno. Il Prawo i Sprawiedliwosc, PiS, partito Diritto e giustizia, che Kaczynski aveva contribuito a fondare nel 2001 con il fratello Lech, ucciso insieme ad altre 95 persone in un incidente aereo di Smolensk nel 2010- vicenda che ha alimentato teorie complottiste e un diffuso sentimento anti Mosca – è dato tra il 29 e il 34%, nettamente davanti alla Piattaforma civica di Tusk. Protagonisti della politica polacca per oltre un decennio, suo fratello Lech era presidente della Repubblica al momento della sua scomparsa, e lo stesso Jaroslaw è stato premier tra il 2006 e il 2007, i gemelli Kaczynski hanno incarnato a lungo il profilo della nuova destra polacca «nazional-cattolica», vale a dire nazionalista in politica estera, con forti accenti euroscettici, tradizionalista e ultraconservatrice sui temi della società, strenua oppositrice dei diritti delle donne e degli omosessuali, ma favorevole al mercato. Ancora oggi Diritto e giustizia è il principale megafono politico della destra cattolica di Radio Maryja, spesso tacciata di antisemitismo e omofobia. «Rispetto al passato – sottolinea Marcin Zaborowski, direttore dell’Istituto polacco per gli affari internazionali – il PiS ha però accentuato le sue critiche nei confronti dell’Unione Europea e di quella che definisce come l’incompetenza del governo di Varsavia. Oggi Kaczynski si rivolge soprattutto ai giovani preoccupati per il proprio futuro».
L’annunciata crescita elettorale del PiS, coincide con la battuta d’arresto che sta facendo registrare l’economia del paese, il cui piccolo boom aveva fatto da viatico per la vittoria, arrivata nel 2007 e confermata quattro anni dopo, del conservatore moderato Donald Tusk. Dopo la stagione convulsa dominata dal populismo dei Kaczynski, il nuovo premier aveva cercato di condurre una politica concreta che si è però tradotta in tagli sociali significativi, in una riforma muscolare delle pensioni e che per di più non ha messo al riparo l’esecutivo né dagli scandali, né da una sconfitta netta sul fronte del lavoro.
Nel frattempo Tusk ha dovuto vedersela anche con una grana interna. Il suo ex ministro della Giustizia, Jaroslaw Gowin, lo ha prima criticato duramente per le aperture fatte sui matrimoni gay, ma anche per l’eccessivo ricorso alle tasse, per poi abbandonare Piattaforma civica e dare vita a un nuovo partito, Polonia insieme, sempre liberale ma spostato a destra, ora accreditato di circa il 5% delle intenzioni di voto. Ma non è tutto. Anche i neofascisti sperano di raccogliere qualcosa dal clima di scontento che cresce nel paese. Alle europee debutterà il Ruch Narodowy, Movimento nazionale, una formazione che ha federato una mezza dozzina di gruppi estremisti, tra cui l’Oboz Narodowo Radykalny, Campo nazionalista radicale, molto attivo nelle curve del calcio, e la cosiddetta Gioventù della Grande Polonia. Vicini ai neofascisti ucraini di Svoboda, agli ungheresi di Jobbik e a Forza Nuova, annunciano di voler fare fronte comune a Bruxelles con euroscettici e nazionalisti «per far saltare la Ue», come dice Robert Winnicki, 29 anni e loro portavoce. Omofobi, ultracattolici, contrari all’euro, sostenitori dell’idea di un’unica grande nazione polacca dal Baltico al Mar Nero e seguaci delle tesi antisemite diffuse negli anni Trenta da Roman Dmowski, il teorico della «democrazia nazionale», gli estremisti polacchi si sono fatti notare negli ultimi anni soprattutto per la loro violenza. Palcoscenico privilegiato delle loro scorribande, la manifestazione che ogni 11 novembre ricorda per le strade di Varsavia l’indipendenza del paese dall’Impero asburgico nel 1918 che si conclude inesorabilmente con scontri e aggressioni. Potranno portare quella minaccia anche nelle urne?