Nuove proteste, in Brasile, contro la presidente Dilma Rousseff e contro il Pt, il Partito dei lavoratori, che governa dal 2003. Domenica, sono scese in piazza circa oltre 700.000 persone, in 400 città del paese. Un copione simile – per temi e soggetti – a quello delle due precedenti manifestazioni, di marzo e aprile, ma con una partecipazione minore e un maggior accento su contenuti di destra. A convocarla, alcune sigle cresciute sul web dai conti poco chiari, a fianco delle quali sfilano noti personaggi di opposizione.

A mettere sulla graticola la presidente, rieletta a gennaio per un secondo mandato, sono professionisti di classe medio alta, o sacche rancorose e reazionarie che chiedono il ritorno alla dittatura militare e si mobilitano al grido di «Fuori Dilma e il Pt».

Bianchi ben vestiti che mal sopportano il pur modesto cambio di marcia innescato dai governi Lula e poi Rousseff a favore dei settori popolari, e si sentono minacciati nei propri privilegi. In piazza, bruciano pupazzi con i tratti di Lula e di Dilma e gridano che solo i militari possono salvarli dal «finire come Cuba e il Venezuela».

La rivendicazione principale è quella contro la corruzione, riferita al grande scandalo che ha portato a processo la petrolifera di stato Petrobras e che coinvolge tutte le forze politiche. Secondo i magistrati, grandi imprese di costruzione avrebbero pagato enormi tangenti ai dirigenti di Petrobras per ottenere contratti multimilionari con la complicità dell’intero sistema politico.

Il più inquisito risulta essere il Pp, il Partito progressista di stampo conservatore. I nomi più sparati dai grandi media sono però sempre quelli del Pt e l’uso politico dell’inchiesta appare evidente.

Al contrario, quasi nessun rilievo è stato dato alla bomba lanciata giorni fa contro l’Istituto Lula, un obiettivo altamente simbolico. Molti degli indagati appartengono all’ambiguo e centrista Pmdb, il Partito del movimento democratico brasiliano che sostiene il governo del Pt come la corda sostiene l’impiccato.

Un nome per tutti, quello del potente presidente della Camera Eduardo Cunha, del Pmdb. Un evangelico proprietario di oltre 150 domini Internet con il nome «Jesus», da anni con le mani in pasta e inquisito nello scandalo Petrobras: che però ora si è sfilato dalla coalizione per sostenere la richiesta di impeachment per Rousseff.

Se la richiesta dovesse passare, come avvenne nel ’92 con l’allora presidente Fernando Collor de Melo, l’incarico toccherebbe al vicepresidente Temer, anch’egli del Pmdb. Nei giorni scorsi, Dilma ha però incassato l’appoggio del presidente del Senato, Renan Calheiros, sempre del Pmdb, ma resta da vedere a quale prezzo per le promesse rivolte agli elettori dei settori popolari.

Oltre le alchimie istituzionali, resta infatti sul terreno la crisi conclamata del Pt e la sua dismissione progressiva dal progetto iniziale. Lula ha deciso di prendere di petto la questione del rinnovamento, ma la strada è tutta in salita.

Secondo il teologo Frei Betto, «il Pt ha ormai perso il suo orizzonte storico, espresso nei documenti delle origini, un orizzonte di trasformazione e di riforme rilevanti». Una volta al governo, «ha scambiato un progetto di Brasile per un progetto di potere».

Nell’analisi di Betto, che si evince da una lunga intervista al Folha di Sao Paulo, a differenza del presidente boliviano Evo Morales, «che ha cercato di assicurare la governabilità attraverso i movimenti sociali e oggi ha oltre l’80% del consenso, il Pt ha cercato di assicurarsela dall’alto e ha perso contatto con la realtà, riducendosi a dover pagare i militanti per sventolare le bandiere».

E oggi la popolarità di Dilma è ai minimi storici. Una caduta che, se la presidente cede e la destra torna in campo, rischia di spazzar via anche quanto di buono è stato fatto in questi anni: dall’inclusione economica di 45 milioni di brasiliani alla ripresa di sovranità a livello internazionale.

Grandi meriti, ma anche grandi equivoci. Per evidenziarli, Frei Betto usa la metafora della baracca nella favela. Nella baracca, una famiglia ha il computer, il cellulare e il microonde.

All’esterno, però, il quartiere non ha fogne, né mezzi di trasporto, né buona sanità, educazione, sicurezza.

Il Pt ha creato una «nazione di consumatori» senza consistenza politica, che ora vuole sempre di più.

E che risponde alle sirene della destra: lo stesso canto maligno che sale dalle piazze in Ecuador, in Argentina, in Venezuela.