Il comune di Roma potrebbe subire ilcommissariato per lo svolgimento del prossimo Giubileo. Repubblica e l’Espresso lo danno per certo e fanno il nome del prefetto Gabrielli. E chi mai protesterà, visto lo spettacolo che la magistratura ha squadernato sotto gli occhi del paese: un sistema politico corrotto e colluso con la malavita organizzata non potrà pretenderla solidarietà da parte di nessuno, ritenendo un bene che gli appalti del Giubileo non siano gestiti dai famelici esponenti di partiti ridotti a comitati d’affari. Tuttavia non sfugge la gravità del caso.

Di fronte alla crisi di rappresentanza politica del governo locale, a farne le spese non sono i meccanismi oliati che hanno permesso il dilagare del malaffare, e cioè lo smantellamento della pubblica amministrazione e la discrezionalità totale delle scelte di governo. Su questo tema c’è un silenzio omertoso mentre si preferisce addirittura sacrificare la democrazia. E non è stato di grande aiuto il gesto con cui il sindaco Marino ha risposto all’opposizione del gruppo consiliare dei 5 stelle (il segno di vittoria rivolto a chi svolgeva il proprio ruolo istituzionale). Forse il sindaco preferisce l’opposizione svolta nelle cene bipartisan frequentate dal suo partito durante i cinque anni di consiliatura di Alemanno. Ma se si irride alla democrazia si apre oggettivamente la strada alla cultura di Matteo Renzi.
Le carte della magistratura svelano invece che se non ricostruiamo regole e un profilo morale della pubblica amministrazione sottraendola al dominio dei partiti politici non usciremo dal labirinto del malaffare. Ripercorriamo alcuni aspetti dell’inchiesta. Ad una cooperativa della galassia Buzzi viene affidato in modo assolutamente discrezionale un appalto –uno dei tanti- per la manutenzione dei parchi di Ostia per un importo di un milione e duecento mila euro. E’ il frutto amaro della scelta ideologica di venti anni fa che ha criminalizzato le amministrazioni e ha imposto l’esternalizzazione delle mansioni. Si disse che ciò avrebbe garantito efficienza e risparmio. In realtà si è costruito (a Roma e in ogni altro comune d’Italia) un sistema che ha speso il doppio di quello che si spendeva con la (spesso inefficiente) macchina pubblica.

Il secondo cavallo di battaglia del ventennio liberista è stato quello di cancellare la cultura delle case popolari e la programmazione urbana. Le carte degli inquirenti ci fanno conoscere le conseguenze: un enorme numero di famiglie sono state lasciate nelle fauci di politici senza scrupoli e della grande proprietà immobiliare. Ogni anno la collettività romana brucia sull’altare di questa moderna mano morta 30 milioni di euro per affitti di immobili spesso fatiscenti. In venti anni 600 milioni di soldi buttati via: con l’odiata programmazione si potevano costruire oltre 3 mila alloggi pubblici, ma così si sarebbe rovinata la festa dei soliti noti.
Il terzo cavallo di battaglia del malaffare è –se possibile- ancora più odioso. Esistono come noto numerose proprietà pubbliche abbandonate (si pensi alle caserme o ad alcune scuole) su cui da tempo un vasto movimento civico chiede il riuso anche per ospitare anche una parte degli immigrati. L’ideologia dominante lo ha vietato: meglio lasciare l’affare ai commercianti di carne umana, spendere un fiume di soldi pubblici per affitti passivi e lasciare andare alla malora gli immobili pubblici, così da poterli svendere a prezzi sempre più bassi come avviene in Grecia.

Per ricostruire legalità ed etica pubblica bisogna chiudere il capitolo della discrezionalità. Si continua invece sulle strade che hanno portato la capitale d’Italia in un degrado senza fine. Ad esempio, i cinquecento milioni di budget per il Giubileo della Misericordia dovranno venire in parte dalla vendita del patrimonio immobiliare pubblico. Una ghiotta occasione per sperimentare al di fuori di ogni controllo democratico la filosofia dello “Sblocca Italia” di Renzi che affida alla Cassa depositi e prestiti la vendita delle proprietà pubbliche. E Roma rischia così di pagare il malaffare politico con il prezzo altissimo della sospensione della democrazia.