Elon Musk sta comprando Twitter per 44 miliardi di dollari. David Leonhardt, editorialista del NY Times, ha commentato: “All’uomo più ricco del mondo non piaceva Twitter. Così lo sta comprando”. Leonhard riporta nella sua newsletter (“The Morning”) del 26 Aprile, una statistica fatta da Emmanuel Saez e Gabriel Zucman: dal 1982 al 2020 la percentuale della ricchezza posseduta dal 0,00001 delle famiglie americane (oggi 18 famiglie che posseggono, in media, 66 miliardi di patrimonio ognuna) è aumentata di 10 volte.

La percentuale della ricchezza posseduta dal 0,01 delle famiglie ha superato, seppure di poco, i livelli del1929 (è passata dal10,4% al 10,8%). Negli Stati Uniti sul piano della concentrazione della ricchezza si è tornati indietro di un secolo. Questa concentrazione è incompatibile con la democrazia perché corrompe il modo collettivo di sentire e di pensare. Aristotele definì la Polis come comunità di diversi ma pari, dando in questo modo anche la definizione più bella e funzionale della democrazia.

Figlio della sua epoca, restringeva la comunità politica in una piccola parte privilegiata della popolazione della città che dominava una maggioranza di schiavi. La sua intuizione, che predicava bene e razzolava molto male, resta, nondimeno, valida, dirimente. E la contraddizione che l’attraversa (la democrazia come privilegio di pochi) mai del tutto risolta, rende evidente il problema, alloggiato nella sua stessa costituzione storica, che da sempre mina la democrazia.

Tra tutte le diversità che, in democrazia, dovrebbero relazionarsi alla pari, la diversità economica è quella che, superato un limite che la rende iniquità, diventa incompatibile con le istituzioni democratiche e con il loro funzionamento. La concentrazione dei beni rende i cittadini diversi ma impari. La sua progressione ha un effetto alienante, diretto o indiretto su tutte le relazioni di scambio (erotico/affettive, culturali, politiche, economiche): distrugge le differenze e le particolarità e rende tutti (ricchi e poveri) omogenei, indifferenziati e indifferenti. Porta verso una società di individui uguali, uniformati sul piano del pensiero, delle emozioni e delle attitudini, del tutto ineguali sul piano del potere.

Di Elon Musk, eroe dell’illibertà individualista, Shira Ovide, sempre del NY Times, scrive: “Il più appropriato paragone con il passato potrebbe essere con i baroni dei giornali del diciannovesimo secolo, come Hearst, Pulitzer, e l’immaginario “cittadino Kane”, che usavano i loro giornali per perseguire scopi personali, sensazionalizzavano gli eventi del mondo e molestavano i loro nemici”.

Chi concentra potere economico tende necessariamente a sostituirsi al potere politico, perché l’espansione senza limiti dello spazio in cui opera è inconciliabile con le regole che difendono l’interesse comune. Ha tutti i mezzi per aggirare le leggi democratiche e può manipolare a suo piacimento il mondo delle informazioni (mai così vulnerabile alla mistificazione come oggi). È obiettivamente un nemico della democrazia, indipendentemente dalla sua cultura e da ciò che pensa di sé.

Crea con il suo agire, che deriva da uno spiccato sentimento di onnipotenza, un clima collettivo negativo: svuota di significato la legalità, riducendola in un involucro formale, legittima l’arbitrio e passivizza emotivamente i cittadini, assoggettandoli alla sua psicologia.

Ad Atene vigeva la legge dell’”ostracismo”: colui che, secondo il parere del popolo, aveva concentrato troppo potere veniva bandito dalla città per dieci anni. Provvedimento discutibile che, tuttavia, poneva già allora un problema enorme. Oggi le leggi anti-trust lasciano il tempo che trovano. I politici hanno spesso soggezione degli avventurieri che nel nostro mondo globale deregolato si muovono molto meglio di loro. Forse invece di twittare per esistere, dovrebbero contrastare i nemici. Meglio cadere in battaglia che vivere asserviti.