La decisione di Trump è una pietra tombale anche per l’Afghanistan
Addio processo di pace Sfilandosi dall'accordo sul nucleare iraniano gli Usa mettono il governo afghano in una situazione molto difficile. E la guerra più lunga mai combattuta dagli Stati uniti continua, a due passi dal confine iraniano. Per i Talebani Teheran era già una sponda importante, ora lo sarà anche di più
Addio processo di pace Sfilandosi dall'accordo sul nucleare iraniano gli Usa mettono il governo afghano in una situazione molto difficile. E la guerra più lunga mai combattuta dagli Stati uniti continua, a due passi dal confine iraniano. Per i Talebani Teheran era già una sponda importante, ora lo sarà anche di più
Con la violazione dell’accordo sul nucleare iraniano, Trump mette una pietra tombale sul processo di pace in Afghanistan. La guerra afghana è derubricata come secondaria, ma rimane la più lunga mai combattuta dagli Stati uniti, che qui mantengono soldati, mezzi, basi militari. A due passi dal confine iraniano. Insieme alla Siria, è qui che più concretamente si vedranno gli effetti della decisione di Trump.
A KABUL È ALLARME ROSSO. Già ieri l’Alto consiglio di pace, l’organo che ha il compito di favorire il negoziato con i Talebani, ha espresso forti preoccupazioni, augurandosi che l’uscita degli Usa dall’accordo nucleare non renda più lontana la risoluzione del conflitto. A dispetto degli auspici, andrà proprio così.
L’Afghanistan ha sei paesi confinanti, ma i due più rilevanti, sul piano politico ed economico, sono l’Iran e il Pakistan. Senza la loro collaborazione la guerra non potrà concludersi. Attaccando l’Iran, la scelta di Trump prolunga dunque il conflitto e fornisce a Teheran un motivo ulteriore per contrapporsi alla presenza di Washington nel Paese centro-asiatico. Lo può fare attraverso strumenti diversi. Il più efficace rimane la shura di Mashad (dall’omonima città nel nord-est dell’Iran, a due passi dal confine afghano), una delle cupole dei Talebani. La shura di Mashad è controllata e finanziata dalle Guardie della rivoluzione, che usano l’influenza sui militanti per condizionare la partita afghana. Fino alla fine del 2014, quando è avvenuto il ritiro della maggior parte delle truppe straniere, l’obiettivo era lavorare ai fianchi gli americani, colpirli il più duramente possibile, ricordargli che l’Asia centrale non è casa loro. Più recentemente, i pasdaran hanno visto nei Talebani un argine contro l’espansione della «Provincia del Khorasan», la branca locale dello Stato islamico, che persegue una politica settaria fortemente anti-sciita.
LA PREOCCUPAZIONE DI TEHERAN è simile a quella di Mosca, che ha deciso di attribuire una patente di legittimità politica ai Talebani in cambio del sostegno contro la Provincia del Khorasan, troppo vicina geograficamente alle ex repubbliche sovietiche e al Caucaso.
I legami cion la Russia e con l’Iran non piacciono a tutte le componenti dei Talebani. La Russia è l’erede di quell’impero sovietico che aveva occupato il Paese, provocando la resistenza dei mujahedin. L’Iran nel 2001 ha fornito assistenza all’Alleanza del nord per rovesciarne l’Emirato islamico. Poi le cose sono cambiate.
Oggi i rapporti sono buoni, almeno con alcune “shure”. Mullah Akhtar Mansour, il successore di mullah Omar alla guida dei turbanti neri, è stato polverizzato nel maggio 2016 da un drone statunitense nel Beluchistan pachistano proprio mentre tornava da un viaggio in Iran.
PER I TALEBANI quella iraniana è già una sponda importante. Con la decisione di Trump diventerà ancor più significativa. Anche per gli effetti sul quadro domestico iraniano: verrà ridimensionato il peso del ministro degli Esteri Javad Zarif a beneficio dei duri e puri delle Guardie della rivoluzione, che vedono la diplomazia attraverso un mirino. Se uno degli obiettivi di Trump era ridimensionare l’influenza regionale iraniana, il colpo basso sul nucleare ne rafforza il ruolo, sul fronte afghano come altrove. E mette seriamente nei guai il governo di Kabul, già debole e diviso tra il presidente Ashraf Ghani e il quasi primo ministro Abdullah Abdullah, costretti alla coabitazione in un governo di unità nazionale che ha istituzionalizzato la loro rivalità.
Trump li mette in una situazione difficile, da equilibristi: devono obbedire a Washington, senza il cui sostegno il loro governo non esisterebbe, ma non possono rinunciare ai legami con Teheran, importantissimo partner commerciale. Inoltre, paradossalmente Kabul potrebbe essere spinta nelle braccia di Islamabad, lo stesso attore che Trump accusa di sostenere i Talebani. Una parte di loro festeggia la scelta del presidente Usa. Ne otterranno benefici. I più oltranzisti potranno convincere i moderati che del processo di pace non c’è bisogno: degli americani non ci si può fidare.
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