A prima vista tutti e tre i partiti della maggioranza portano a casa qualcosa e possono dirsi soddisfatti. FdI a Bolzano si piazza come primo partito tra le forze nazionali e non locali. Sarà pure solo il 6% ma è pur sempre il triplo che nelle elezioni precedenti e vale la creazione di una maggioranza con l’ammaccata Svp. La Lega è stata doppiata a Bolzano ma nel Trentino piazza facile la conferma di Fugatti e mettendo insieme le sue liste e quella civica tocca il 22%. Non è il 27% senza bisogno di supporti civici dei bei tempi ma son sempre 10 punti in più dei tricolori. Fi si tiene il suo seggio senatoriale a Monza con Galliani al posto dell’amico scomparso. Magari l’elettorato si è un po’ sfoltito, dal 70% di un anno fa al 19% e rotti è un bel salto, ma almeno la percentuale è più o meno la stessa con la quale aveva trionfato Berlusconi: 51%.

Va da sé che questa lettura a destra spopola, come è fisiologico che sia. Le cose in realtà stanno diversamente. Il risultato positivo di FdI c’è, però è modesto. Il voto è triplicato rispetto a tempi vicini sul calendario ma lontanissimi in politica, quando il partito tricolore, a livello nazionale, annaspava intorno al 4%. Entrerà pure nel governo a Bolzano ma il risultato, rispetto al livello nazionale di oggi, è deludente e nel Trentino la distanza dalla Lega è ancora marcata. La quale Lega a propria volta non ha motivo di brindare. Fugatti ha vinto anche e soprattutto in virtù di una «buona amministrazione» che viene riconosciuta un po’ da tutti. Senza il richiamo personale, la lista del presidente, il crollo del Carroccio sarebbe stato fragoroso. Un po’ come a Bolzano dove FdI, pur con il suo risultato appena sufficiente, lo doppia.

Sulla vittoria tonda di Galliani non ci sono dubbi e del resto i bookmaker lo davano 5 a 1: non accettavano scommesse. E tuttavia quell’elettorato liquefattosi in un anno nonostante corresse il proprietario della squadra locale, particolari che pesano, qualcosa significa. Soprattutto se lo si considera alla luce dei risultati del Trentino, dove Fi è l’unico partito di centrodestra a volare bassissimo, intorno al 2%, e di Bolzano dove va peggio, senza entrare proprio nel consiglio comunale. Certo, il significato di elezioni come quelle di ieri non va esagerato, non solo perché il campione era limitato ma soprattutto perché trattandosi del Trentino, di Bolzano e di un’elezione suppletiva, dove l’astensionismo di massa è cronico, il test era di scarsa affidabilità. In compenso il quadro è eloquente nello spiegare i motivi delle tensioni tra FdI e Fi, o meglio tra Fdi e Mediaset.

Ieri di quelle tensioni, negate ufficialmente, si sono avuti altri due indizi. Da palazzo Chigi è filtrata la voce sulla massima irritazione della premier contro il sottosegretario con delega all’editoria Barachini, per aver messo Giuliano Amato a capo del Comitato che dovrebbe studiare gli effetti dell’Intelligenza artificiale sull’editoria senza consultare la premier. Donzelli, che a Meloni è vicinissimo, ha trovato modo di chiarire che non ci saranno «riguardi» a favore di Mediaset. A quei «riguardi» Mediaset era abituata da trent’anni. Erano dovuti al ruolo di Berlusconi a volte come premier, a volte come capo dell’opposizione, alla fine come alleato minore ma forte abbastanza da poter mettere in crisi il governo. Senza più Berlusconi quella possibilità non c’è più. O meglio c’è ma solo con una scelta kamikaze, perché Fi certamente non sopravviverebbe. E senza più quell’arma Mediaset, nonostante disponga di Fi, può aspettarsi un governo amichevole ma non più il “suo” governo.