«Bisogna dinamicizzare il Mercosur, che è rimasto congelato per troppo tempo. Abbiamo una visione convergente con quella dell’Alleanza del Pacifico, è il cammino migliore per noi». Mauricio Macri superstar, in Cile, al XI vertice dell’Alleanza del Pacifico che si è svolto a Puerto Varas. Il presidente argentino, il cui paese è recentemente entrato nel blocco regionale come osservatore, si è accordato subito con lo spirito neoliberista che anima l’Alleanza del Pacifico, perno latinoamericano del grande Accordo commerciale Transpacifico. Il Ttp, contraltare del Ttip (progettato con l’Europa), è stato realizzato dagli Usa con altri 11 paesi che affacciano sull’oceano Pacifico (Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Messico, Peru’, Cile, Vietnam, Singapore, Brunei e Malesia) e rappresenta circa il 40% dell’economia mondiale. Dell’Alleanza del Pacifico fanno parte alcuni grossi vassalli latinoamericani degli Stati uniti, come Messico, Colombia, Perù e Cile, e in questo ultimo vertice, oltre all’Argentina sono stati invitati altri 48 paesi osservatori (tra questi, anche Guillermo Solis, del Costa Rica).

Dopo la svolta a destra in Argentina, il golpe istituzionale in corso in Brasile, la vittoria delle destre in Perù e il generale attacco ai governi socialisti, in primo luogo al Venezuela, l’America latina oggi non è più quella del 2005. Allora, a Mar del Plata, in Argentina, Hugo Chavez, Lula da Silva e Nestor Kirchner, mettendosi in consonanza con la Cuba di Fidel Castro avevano stoppato i piani di George W. Bush per un trattato di libero commercio tra Usa e America latina (l’Alca). Da allora, per impulso di Cuba e Venezuela hanno preso forma nuove alleanze sud-sud all’insegna dell’interscambio solidale e non della tradizionale asimmetria. Adesso, invece – con il Cile che si propone come centro e alcuni paesi che pencolano verso i trattati di libero commercio con l’Europa, come l’Uruguay, il timone sta per passare ai sempiterni Chigago Boys come il peruviano Alfredo Thorne o l’impresario argentino Alfonso Prat Gay.

Nel Mercosur, l’avversario da battere è indubbiamente il Venezuela, paese che custodisce le prime riserve di petrolio al mondo e di oro e che ha deciso di destinare oltre il 70% delle sue entrate ai progetti sociali. L’unico che rifiuti apertamente di firmare trattati all’insegna del neoliberismo, nonostante gli attacchi portati ora dagli avvoltoi di Michel Temer, presidente de facto del Brasile, e dal Paraguay. Nel Mercosur (Argentina, Brasile, Venezuela, Uruguay, Paraguay e Bolivia), l’orientamento del governo bolivariano non è già più egemone. Tuttavia, dopo aver schivato ostative e colpi bassi, il Venezuela ha assunto ieri la presidenza pro-tempore del Mercosur nel vertice che si è tenuto a Montevideo, dopo aver ricevuto quella del Mercosur sociale.

«I cambiamenti avvenuti in America latina sono ormai irreversibili, non si torna indietro», ha detto il sindaco venezuelano Jorge Rodriguez. E ha ricordato l’appoggio ricevuto dal suo paese all’Osa contro i tentativi del Segretario generale Luis Almagro di far applicare al Venezuela le sanzioni previste dalla Carta democratica interamericana, in base alle richieste della destra venezuelana. E la ministra degli Esteri, Delcy Rodriguez, ha nuovamente denunciato le recenti affermazioni di Barack Obama a sostegno del referendum revocatorio organizzato dall’opposizione venezuelana contro Maduro.

Anche il presidente nicaraguense, Daniel Ortega, il cui paese fa parte dell’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America (Alba), ideata da Cuba e Venezuela, ha denunciato che in Centroamerica «le nuove politiche di ingerenza dell’imperialismo stanno mettendo a rischio la pace e la stabilità della regione». Il Nicaragua ha assunto la presidenza pro-tempore del Sistema dell’integrazione centroamericana (Sica) che si è svolto in Honduras. Un’occasione per ricordare il colpo di stato contro l’allora presidente dell’Honduras Manuel Zelaya, deposto dai militari nel 2009, e per denunciare la politica dei «golpe istituzionali» e dei «golpe morbidi» portata avanti da allora contro i governi non subalterni a Washington: nel 2012 contro Fernando Lugo in Paraguay (ora nuovamente candidato alla presidenza), e adesso contro Dilma Rousseff in Brasile e Nicolas Maduro in Venezuela. Ma, intanto, il Salvador dell’ex guerrigliero Sanchez Céren si sta avvicinando sempre più al Venezuela, a Cuba e alla Bolivia di Morales e alle politiche dell’Alba.