La presentazione del direttore Dieter Kosslick di questa Berlinale 2014 mette al centro il ritorno allo Zoo Palast, la sala storica nella parte ovest della città2, riaperta dopo molti anni di lavori. La «ristrutturazione» secondo i curatori ha mantenuto l’aspetto originale, le poltrone di velluto rosso, e le decorazioni anni Cinquanta… È bello trovarsi d’improvviso catapultati dall’altro lato, sotto al cielo azzurrissimo sulla Ku’damm rassicurante contro l’anonimo di grattacieli di Potsdamer Platz.

Ieri l’evento del festival più che la «Ninfomaniaca» di Lars Von Trier è stato Jack Smith: Beyond the rented World, serata omaggio al cineasta, geniale mago dell’avanguardia americana coi suoi mondi travestiti e transgender pieni di colori e fantasmagorie, strass e foreste di cannabis, marinaretti e sirene immerse nel latte (nel Forum Expabded). Un caledoscopio sensuale di mondi inventati nella grana della pellicola… A presentarla c’erano Jerry Tartaglia, compagno del cineasta, che accompagna il lavoro di conservazione e restauro dei suoi film, ma anche Ken e Flo Jacobs, anche loro al centro dell’avanguardia americana, e John Zorn che ha mixato sugli ultimi due titoli i dischi prediletti da Jack Smith. Eravamo in un teatro, piccolo e molto bello, alla Hau Hebel Am Ufer, pienissimo e entusiasta. Ma come resistere a quell’irriverenza divertita di piaceri, perfomance, maschere, gioco, citazioni, amori esotico kitsch tra mambo e cha cha cineserie e fredde luci al neon nella notte … Un guizzo forse oggi impensabile.

Un po’ come la leggerezza musicale di Alain Resnais, in concorso con questo Life of Riley, dalla commedia di Alan Ayckbourn, anche se il regista ha cambiato il titolo del drammaturgo inglese in Aimer, Boire et Chanter (Life of Riley rimane quello internazionale). Come spiega nelle sue note lo stesso Resnais, anche qui è «una questione di ritmo».

Ma quale? Quello del cinema, prima di tutto, che incontra il teatro, e anche il fumetto, e naturalmente le sfumature della parola, i corpi e le voci dei suoi attori di sempre, Sabine Azema Andrè Dussolier, e Sandrine Kimberlain, Hyppolite Girardot, Caroline Silhol, Michel Vuillermoz.

La ricerca di Resnais è diversa da quella di Polanski in la Venere in pelliccia, dove il corpo a corpo tra parola e fantasie (ciò che non riesce per esempio minimamente a Lars von Trier) occupa lo spazio dell’ inquadratura, e si fa cinema. Resnais se>gue la musicalità della parola, il suo è un movimento che ne accompagna i toni, rende evidente la cifra «teatrale» dentro a ogni immagine, e al tempo stesso quella cinematografica nel teatro. Noi siamo sempre al posto degli spettatori, come deve essere, assistiamo all’intreccio da una posizione frontale, e non nel mezzo della scena: palco/schermo mostrati in interezza, le quinte che si aprono e si chiudono nel paesaggio da cartolina turistica. E quando li incontriamo i personaggi stanno provando una commedia, una storia d’amore, che fa da controcampo (ma fuori campo) alle loro azioni in quella che appare come la storia «vera».

La variazione di questa danza dei sentimenti e della vita, ruota intorno al George Riley del titolo, che non si vedrà mai col quale i protagonisti hanno avuto in modo diverso una relazione intensa. L’amico del cuore (Vuillermoz) che ha diviso insieme a George i sogni da ragazzi, poi ha fatto carriera e ha rinunciato alle loro utopie, ma l’altro non lo ha rimproverato mai. La ex – moglie che lo ha lasciato perché George era egoista (è Kimberlain) ma forse lo ama ancora. La moglie del medico, pettegola e un po’ pasticciona (Azema) che scopriremo è stata con lui, follemente innamorata quando era ragazza … La ragione che rimette al centro delle loro vite George, è la scoperta che l’ uomo ha pochi mesi di vita, una cosa che all’improvviso determina un cambiamento in tutti loro. Occuparsi di George, per le donne specialmente, diviene un modo per guardare da vicino quelle cose di sè stessi messe in disparte, risucchiate dalle abitudini e dalla stanchezza della quotidiano.

George con la sua vitalità voleva essere sempre giovane, un ragazzino eterno, difatti scapperà con la figlia sedicenne dell’amico.

Lei Azema, che pensava di partire con lui, è felice di essere cresciuta nonostante tutto. Ma la vita è anche questo, un passaggio, una trasformazione. Come il cinema. E quel gusto del cambiamento appare come un lampo nel sorriso scanzonato di un autore che reiventa di continuo la propria poetica. Nella canzone commuovente del tempo che passa, della vecchiaia, di una vita che si srotola,come la pellicola, senza rimpianti. «Sei sempre stato vecchio anche da giovane per questo ti ho sposato» sorride Azema al marito Girardot abbracciandolo. Geniale.