«Si dimostra la capacità di coalizione del leader dei moderati, rispetto al cannibalismo del Pd». Non è proprio una citazione dotta – viene dal Mattinale, l’eccitata newsletter di Renato Brunetta – ma riassume bene i primi effetti sul quadro politico della riforma elettorale in corso. A destra si stringono a coorte; dall’altra parte Renzi resta con un solo alleato – Vendola – che appare anche scontento e minaccioso. Ma per il segretario Pd va tutto bene, è solo la sua strategia all’opera. «Vanno conquistati gli elettori, non i leader», scrive nel pomeriggio su twitter. Ma due sondaggi di giornata – uno dell’Ipsos, uno di Euromedia – lo smentiscono, segnalando che con l’aggiunta di Casini il centrodestra raggiunge il 37% e dunque con il nuovo sistema elettorale potrebbe vincere le politiche già al primo turno.

È un #nuovofilm, lancia l’hashtag Matteo Renzi, eppure sembra tanto il film già visto nel 2008, subito dopo la vittoria di Walter Veltroni alle primarie Pd. Prima l’abboccamento con il Cavaliere per la riforma elettorale che mise in crisi il governo di centrosinistra (Prodi) in carica, poi la «vocazione maggioritaria» che chiuse alla sinistra. Il finale è noto e non lieto: Berlusconi al massimo storico, quasi dieci punti sopra il Pd. L’esperienza insegna, dunque le probabilità che Sel si sfili dall’alleanza con i democratici sono praticamente inesistenti, anche se Vendola è costretto a ricordare che «l’alleanza è tutta da costruire, se la questione è che noi dobbiamo fare i portatori d’acqua potremmo fare anche altro». Minaccia timida e pure obbligata, di fronte a una legge elettorale che prevede uno sbarramento al momento fuori dalla portata di Sel e anche l’assurdo corollario del trasferimento dei voti dai «piccoli», rimasti fuori dal parlamento, ai grandi, premiati con seggi omaggio. È vero che si sta discutendo di una clausola che, così come avviene nel Porcellum oggi in vigore, può salvare il miglior perdente nelle coalizioni: Sel a quel punto potrebbe farcela, superando però quella parte dei centristi destinata a legarsi a Renzi. Ma il segretario del Pd per il momento è liquidatorio: «Sel dovrà fare lo sforzo per superare lo sbarramento». Lo sbarramento al momento del 4,5%, che però può scendere.

Non scenderà invece l’altro sbarramento, ancor più alto e distorsivo del sistema proporzionale, l’8% previsto per chi corre fuori dalle coalizioni. Motivo per cui Casini si è deciso a tornare nel centrodestra, immaginando di costruire con Alfano un polo moderato in grado di contendere la leadership al Cavaliere. E se non la leadership, di certo la premiership, Berlusconi essendo messo fuori gioco dalla legge Severino e dall’interdizione. Così Alfano mette condizioni per il ritorno, chiede le primarie esattamente come le chiese, ma solo per una settimana, prima delle ultime elezioni. Gli rispondono male i suoi tenti nemici del centrodestra, e preparano una pessima accoglienza anche a Casini – al solito a colpi di titolacci del Giornale. Anche perché i vecchi «falchi» del Pdl, oggi «lealisti» in Forza Italia, stanno già faticando a mandar giù la promozione dell’ultimo arrivato, l’ex direttore dei Tg Mediaset Giovanni Toti. Valgono le parole spicce di Daniela Santanchè: «Casini è il politico più sopravvalutato della storia italiana, è un bluff». E Berlusconi, al solito, deve intervenire. Smentendo, ancora al solito, il suo circolo più stretto e il giornale che fa pubblicare. Diffonde una nota scritta: «In questi giorni non ho condiviso gli attacchi a Pierferdinando Casini, il cui ritorno nell’area dei moderati è da sempre stato da me auspicato e del quale non posso che esserne lieto». Ma è chiaro, il gioco andrà avanti così, tra blandizie e richiami all’ordine. Anche questo un film già visto, che Casini non può dire di non conoscere. Magari stavolta spera di avere un ruolo più importante.