Dopo una maratona di tredici ore di discussione al consiglio dei ministri del commercio a Lussemburgo, nella notte tra venerdì e sabato la Francia l’ha avuta vinta sull’eccezione culturale: l’audiovisivo sarà escluso dal negoziato per dare vita a una zona di libero scambio con gli Usa, il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), soprannominato «la Nato del commercio». Parigi incassa «un successo per la diversità culturale dappertutto in Europa», ha commentato la ministra della cultura, Aurélie Filippetti. Almeno per il momento. Infatti, Commissione, Germania e Gran Bretagna, che difendono un negoziato aperto a tutti settori per evitare ritorsioni Usa, hanno ceduto ma lasciano socchiusa la porta per far rientrare l’audiovisivo nella trattativa: i negoziati sono condotti dalla Commissione, che parla a nome dei 27, e che potrà ottenere – con un voto all’unanimità – che questo delicato settore torni in discussione «più tardi», ha precisato il commissario Karel De Gucht.
Questo dettaglio rivela la complessità della trattativa che si apre tra i 27 e Washington. I negoziati, che con grande soddisfazione di David Cameron saranno ufficializzati al G8 del 17-18 giugno in Nord Irlanda, non entreranno nel merito prima di metà luglio e potrebbero durare due anni o più. Obama vuole il Ttip con l’Europa per completare l’accerchiamento della Cina già avviato con il Tpp (Trans Pacific Partnership), concluso con un gruppo di paesi asiatici. Ma potrebbe non vedere la conclusione della discussione prima della fine del suo secondo mandato. L’obiettivo del Ttip non è tanto abbattere le barriere doganali negli scambi tra Usa e Ue, che sono già basse (in media 2,5-3%). Ma armonizzare le norme nei due grandi mercati (che complessivamente rappresentano il 40% degli scambi mondiali), per opporre un fronte occidentale unito all’emergenza della Cina, che mira anch’essa a imporre la propria regolamentazione, molto meno esigente vista dagli Usa e, soprattutto, dalla Ue. Le norme, chiamate anche barriere non tariffarie, sono espressione di una scelta di società: protezione della salute, dell’ambiente, dei diritti del lavoro, livello dei controlli ecc. L’occidente mira ad armonizzare le proprie norme, che vanno dall’infiammabilità dei tessuti fino agli imballaggi delle medicine, dalla sicurezza dei giocattoli fino alle regole della finanza. Su questo fronte, però, le differenze tra Usa e Ue sono notevoli. Per gli europei, che mantengono molte divisioni interne dietro la facciata unitaria della Commissione, c’è il rischio di essere obbligati a cedere di fronte alla forza d’urto della potenza delle lobbies statunitensi delle grandi multinazionali. Gli Usa, per esempio, non riconoscono l’origine geografica dei prodotti (il doc è quindi in pericolo). Tra Usa e Ue, inoltre, le preferenze collettive sono in contrasto sull’energia, l’ambiente, il ricorso agli ogm o agli ormoni, la ricerca sugli esseri viventi, le ineguaglianze sociali, il posto riservato ai servizi pubblici (e ai beni comuni, ridotti a fonti di profitto), i prodotti finanziari ad alto rischio, la protezione dei dati privati, come si sta vedendo in questi giorni con le rivelazioni sul programma Prism. Già nel ’97 un analogo tentativo era naufragato.
Il braccio di ferro sull’audiovisivo, che permette almeno sulla carta di proteggere le produzioni culturali europee (a cominciare dal cinema) di fronte all’assalto di Hollywood ma anche dei Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon), che non pagano quasi tasse sul territorio europeo, è solo il primo capitolo di una lunga serie. Anche gli Usa hanno il loro perimetro da difendere: per esempio, Germania e Gran Bretagna si sono opposte fino alla fine all’eccezione culturale promossa dalla Francia perché temono che Washington usi questa esclusione come scusa per chiedere di tener fuori, per esempio, gli appalti pubblici riservati al 23% alla piccola e media impresa Usa o il trasporto marittimo monopolio delle compagnie Usa per i prodotti importati. Dietro la volontà di concludere il Ttip, persiste la guerra commerciale. Per Obama c’è la necessità di rafforzare la corazzata Usa con le flottiglie dei 27, per contrastare con maggiore forza la Cina.
La discussione è stata aspra tra i 27. La Francia aveva il sostegno di una quindicina di paesi, tra cui l’Italia, ma nessuno aveva l’intenzione di andare fino in fondo nello scontro con Germania e Gran Bretagna. Ma Parigi, sostenuta dal parlamento europeo, ha tenuto duro. «Non sono Giovanna d’Arco» ha scherzato la ministra del commercio, Nicole Bricq, ben consapevole che per Hollande sarebbe stato politicamente disastroso non ottenere questa prima vittoria a Lussemburgo.