La recessione non risparmia neanche quelle imprese, spesso piccole o micro-imprese, che sono sul mercato da più di cinquant’anni. E’ un pezzo di storia del made in Italy che chiude i battenti e non riesce a tramandare alle nuove generazione la propria capacità di fare e inventare. Dall’altra parte sono proprio i più giovani, quelli che non rimangono passivi ad aspettare e che decidono di mettersi in proprio, a rischiare con maggiore probabilità di fallire in breve tempo. A rivelarlo è uno studio condotto dalla Camera di Commercio di Monza e Brianza.

Sono circa 126 mila le imprese che stanno fallendo o stanno ricorrendo ai concordati preventivi. Solo nei primi sei mesi del 2013 le procedure fallimentari sono aumentate del 5,6% rispetto allo scorso anno. Il dato conferma una tendenza spaventosa già più volte registrata. Dal gennaio del 2008 alla fine del 2012, secondo diversi studi, sono fallite più di 50 mila aziende, una media di circa 10 mila all’anno. L’analisi effettuata dalla Camera di commercio di Monza e Brianza punta l’obiettivo in particolare sull’età delle aziende costrette a chiudere. Ne emerge un quadro allarmante. Tra il 2008 e il 2012 sono fallite 9 mila imprese storiche, una su 4 (prima del 2008 ne chiudeva una su 5). E’ una dato trasversale che riguarda tutte le regioni italiane, per una volta senza distinzioni tra nord e sud, tra grandi e piccole città, tra centro e periferia. In particolare i fallimenti aumentano in modo più consistente in Toscana (+33,8%), Calabria (+31%) e Trentino Alto Adige (+26,9%). L’incidenza però è maggiore in Lombardia (1,8 su 1000 pari a +7.5%), seguita da Lazio e Toscana (1,5 fallimenti su 1000 nei primi sei mesi del 2013). Se la cava bene invece la Valle d’Aosta (solo 2 fallimenti con un calo di oltre l’80%) seguita dall’Umbria (-38,9%, dall’Abruzzo (-18,4%) e dalla Liguria (-10,6%).

Per quanto riguarda le imprese storiche che hanno cessato l’attività tra il 2008 e il 2012 si registra una tasso di fallimenti più alto in Calabria (250 imprese storiche chiuse, pari al 53%) e in Puglia (300 imprese storiche chiuse, pari al 47,3%). Ma anche in Lombardia è fallita ha chiuso una impresa storica su tre, in numeri assoluti si tratta di 4.300 fallimenti. In totale in Italia le imprese con più di cinquant’anni che sono sparite negli ultimi 5 anni sono 8.800 (il 26,8%).

L’altro dato sconfortante rivelato dallo studio è che il tasso decisamente più alto dei fallimenti registrati nei primi sei mesi di quest’anno riguarda imprese nate tra il 2000 e il 2009: ben 3.588 su un totale di 6.500 fallimenti. Significa che 1,8 imprese giovani su mille è stata costretta a chiudere. Subito dopo ci sono le imprese che hanno aperto tra il 1990 e il 1999: 1.181 fallimenti nel 2013 (pari allo 0,9 su mille).

“In questo periodo di difficoltà il paese può ripartire da un lato valorizzando le componente giovane dell’imprenditoria attraverso il supporto alle start up innovative – ha commentato Carlo Edoardo Valli, presidente della Camera di commercio di Monza e Brianza – dall’altro salvaguardando le imprese storiche che ne hanno determinato lo sviluppo”. Il punto è che secondo i dati raccolti starebbe succedendo esattamente l’opposto. La crisi sta segnando la fine di quel modello di impresa che è stata l’ossatura del sistema italiano, mentre i giovani non hanno la possibilità di inventare un modello nuovo. E in questo modo si perde la tradizione senza però dare slancio all’innovazione.