La crisi in letteratura
«Chìnati giù per terra, scava una piccola buca nel campo e mettici dentro le monete d’oro. Poi ritorna qui tra una ventina di minuti e troverai l’arboscello già spuntato dal […]
«Chìnati giù per terra, scava una piccola buca nel campo e mettici dentro le monete d’oro. Poi ritorna qui tra una ventina di minuti e troverai l’arboscello già spuntato dal […]
«Chìnati giù per terra, scava una piccola buca nel campo e mettici dentro le monete d’oro. Poi ritorna qui tra una ventina di minuti e troverai l’arboscello già spuntato dal suolo e coi rami tutti carichi di monete». Quando Carlo Collodi scriveva dei cattivi consigli del Gatto e la Volpe al povero Pinocchio era il 1883, e l’occidente era in preda a una depressione ancora più lunga di quella attuale. Da allora, la finanza non ha mai smesso di promettere alberi carichi di monete d’oro a investitori tanto rapaci quanto ingenui. E la letteratura non ha smesso di narrare come si vive l’inseguimento della ricchezza e l’angoscia della povertà.
Negli ultimi decenni è stata indubbiamente la ricchezza a dominare, anche in libreria. La letteratura ai tempi del neoliberismo è stata soprattutto l’apologia della libertà assoluta contro l’invasività dei legami sociali, il trionfo di individui decisi a «realizzare le proprie potenzialità», con un “io” onnipotente, narcisista e solo, sovrapposto al già ingombrante “io” del narratore. E non sono stati molti gli scrittori – ad esempio Thomas Pynchon e Don De Lillo – capaci di smontare quella rappresentazione del nostro tempo.
Ora che la crisi è arrivata, le narrazioni riflettono sulle aspirazioni deluse, descrivono una “rovina” che resta individuale quanto l’illusorio successo che l’aveva preceduta. Sfuggono i tratti di un sistema insensato, l’impossibilità delle promesse passate, la dimenticata necessità di identità collettive. Non c’è, così, (ancora) un romanzo su questa crisi, come abbiamo “classici” su quella degli anni trenta.
Solo ora spuntano le prime storie – soprattutto dalle periferie più colpite – di come si vive il presente, si sopravvive alla perdita di lavoro, identità, futuro. Narrazioni incredule di un collasso che è sociale e psicologico ancor più che economico, storie surreali di città svuotate, ritratti neorealisti di società in dissoluzione. Ma anche storie di come – in Grecia, in Spagna, in Italia – il vuoto potrebbe riempirsi di senso rovesciando le priorità dell’esistenza, ricostruendo relazioni sociali e piccole solidarietà. E quella dimensione collettiva che è condizione non solo per trasformare il presente, ma anche per raccontarlo.
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