L’intervista a Nemo, combattente antifascista nelle file dell’InterUnit a difesa delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk rappresenta senza dubbio un documento di grande interesse sotto il profilo politico e umano. Dalla metà del 2014 il regime ucraino di Petr Poroshenko ha scatenato una guerra contro la ribellione delle minoranze etnico-linguistiche russe del Donbass ucraino che ha prodotto oltre 10mila vittime di cui 2mila civili. Nel settembre 2014 a seguito dei Protocolli di Minsk, sottoscritti dalle parti e sotto l’egida di Russia, Francia e Germania è stata proclamata una tregua. Gli accordi siglati al fine di riportare la pace nella regione prevedono il reintegro delle province nei confini dell’Ucraina, la garanzia di un’ampia autonomia regionale, l’amnistia per i combattenti delle autoproclamate repubbliche. La guerra in realtà è proseguita sottotraccia. Gli accordi di Minsk non sono fino ad oggi stati implementati per due ragioni fondamentali: da una parte per l’oltranzismo degli Usa, che sostenuti da una parte del governo di Kiev non vogliono che si sviluppi un dialogo proficuo tra la Federazione Russa e l’Europa e dall’altra dall’avventurismo dai governi delle Repubbliche popolari che continuano ad anelare la secessione e/o l’integrazione nella Federazione Russa.
Sta qui il limite politico di Nemo e di molti che sostengono le Repubbliche popolari. La direzione politica delle Repubbliche malgrado di tanto in tanto utilizzi una fraseologia antifascista e «sovietica», è il prodotto contraddittorio di diverse spinte e interessi di cui l’elemento «grande russo» è ben presente. Basti pensare che nella fase «eroica» della guerra, il suo esercito fu diretto dal Igor Strelkov, moscovita, di fede monarchica e ammiratore di Denikin. E non è un caso che gran parte dell’estrema destra europea, compresa quella italiana, sostenga le Repubbliche popolari in chiave anti-americana mentre i neofascisti ucraini che giocano allo sfascio a Kiev e nel Donbass sono la punta di diamante del militarismo ucraino.
Come dice Nemo, Putin non ha mai pensato di annettere il Donbass alla Russia – anche se in questi anni l’aiuto russo è stato decisivo – per due non secondari motivi. Il primo è che il Donbass fa parte integrante dell’Ucraina: la maggioranza della popolazione di quella regione è di etnia ucraina. Il secondo è che ciò condurrebbe direttamente al rischio di un conflitto su scala mondiale.
Negli ultimi mesi le Repubbliche popolari sono entrate in una crisi di prospettive. L’ultima grottesca crisi politica nella Repubblica di Lugansk dello scorso novembre, ne ha messo a nudo la profondità. La popolazione è stanca di guerra, molti giovani sono emigrati in Russia o sono «rientrati» in Ucraina ospitati dai parenti, alla ricerca di una vita finalmente normale. C’è un tempo per la resistenza e uno per la pace. Che lascerebbe, tra l’altro, Poroshenko senza un nemico e senza alibi. Anche i compagni «alla Nemo», sono in grado di intenderlo.