«Compagni dove andate?», gridava Fabio Mussi dal palco dell’ultimo congresso dei Ds nel 2007. Denunciava allora che la strada del Pd avrebbe portato la sinistra «a perdersi» in un contenitore composto da una «rete di correnti iperpersonalizzate».

Insomma, il Pd di oggi?

È il sistema, bellezza. Quello che accade da anni nel Pd non dipende dalla cattiveria dei singoli, ma da un sistem,a che determina i comportamenti. Nel Pci c’erano correnti clandestine su piattaforme pubbliche, Ingrao e Amendola, nel Pd invece correnti pubbliche su piattaforme clandestine. Non ci sono progetti diversi, idee di società che si confrontano, il partito è un trust di comitati elettorali, a sostegno del maschio alfa che li guida. Per questo i segretari durano come un gatto in tangenziale.

Irriformabile?

Sì, è un modello americano che funziona solo per organizzare le elezioni e per governare. Ma un partito è un’altra cosa, deve vivere anche quando non governa, organizzare una coscienza, un senso comune. L’Europa non è l’America, importare quel sistema è stata una scelta balzana. Ma c’è di più. Nel 2007 eravamo alla vigila della crisi dei subprime, c’erano già i segnali della crisi del turbocapitalismo finanziario sul lavoro, sul welfare, sui diritti sociali. Eppure nella discussione fondativa del Pd di tutto questo grumo di disuguaglianze non c’è quasi traccia, così come della crisi della globalizzazione, dell’ambiente. Questa lettura sbagliata della società è il secondo cardine della crisi attuale del Pd.

Zingaretti stava cercando di correggere, di introdurre una visione più sociale.

Nicola merita rispetto, qualche passo a sinistra ha provato a farlo, ma ha impattato contro un sistema impermeabile. Dire “mi vergogno del mio partito che pensa solo alle poltrone” è una affermazione pesante, una reazione morale che dice che il Re è nudo.

Forse chi lo contestava non voleva che Zingaretti modificasse il dna del Pd.

Ma è la stessa constituency del Pd che si fonda su una sbornia blairiana mai smaltita. E invece oggi il tema è quello di una riforma radicale del capitalismo, di un pensiero critico. Non è la rivoluzione bolscevica, badi bene, ma serve una riforma di livello pari alla nascita dello stato sociale. E questo ovviamente mette in discussione i presupposti stessi della nascita di quel partito.

Un vasto programma. Realistico?

Ci vuole una schiera di liberi e forti per aprire un capitolo nuovo per la sinistra. Quando alla guida del Pd c’era Bersani questi nodi erano già presenti: gli scrissi una lettera aperta con un motto ungherese, loro hanno queste camicie con tantissimi bottoni. Ecco, se uno arriva all’ultimo bottone e si accorge di avere sbagliato, tocca risbottonare tutto e partire daccapo. È quello che bisogna fare a sinistra.

Neppure le tante formazioni a sinistra del Pd ci sono riuscite.

E infatti siamo davanti a un doppio fallimento. Servono dei meccanici che non abbiano paura a smontare il motore.

Se si sfascia anche il Pd il rischio è che nel centrosinistra resti il deserto.

Di sicuro quello che c’è è inadeguato ad affrontare la lunga crisi in cui l’Italia è immersa, non da sola, e che durerà a lungo.

Vorrebbe rifare i Ds? Forse Ugo Sposetti ha ancora il simbolo…

Non si rianimano i corpi andati. E non sarebbe neppure utile: in 14 anni sono emersi con forza temi come l’ambiente che nei Ds erano solo sfiorati.

Bersani da mesi evoca un big bang della sinistra.

La camicia da riabbottonare, appunto.

Un’altra costituente, un’altra carovana? Ormai siamo alla parodia della Cosa di Occhetto.

Tirare avanti senza fare niente sarebbe solo un lento sparire. Con il pil in picchiata e la povertà alle stelle bisogna fare qualcosa, altrimenti resteranno sulla scena solo Draghi e Salvini.

Servirebbe almeno un leader dopo averne bruciati tanti…

Lo troveremo, spesso sono le situazioni che fanno gli uomini, bisogna partire da quello che si ha e andare oltre l’ostacolo: l’Italia non è tutta destra, c’è un popolo da rappresentare.

In un nuovo contenitore?

Sì, che non abbia come unico obiettivo quello di eleggere qualcuno, ma che desideri qualcosa. Il Pd cosa ha desiderato?

Dare una casa all’Ulivo?

Io ho creduto nell’Ulivo, sono rimasto al congresso del 2001: una grande sinistra in un grande Ulivo. In quell’epoca come collega capogruppo dei popolari avevo persone come Mattarella: eravamo amici in due partiti diversi. E mi chiedevo: perché diventare nemici nello stesso partito?

Altra ragione di vita del Pd: impedire la vittoria di Berlusconi, Salvini e Meloni.

Ecco, appunto, la sola interdizione non è sufficiente.

Poi ci sono i 5 stelle.

Sono anche loro figli della crisi del progetto del Pd. Quando il magna si solidificherà, una parte di loro farà parte del nuovo centrosinistra.

Crede davvero che nascerà un nuovo partito di sinistra?

Devo evocare Camus, il mito di Sisifo: un masso che si porta sulla collina e poi inesorabilmente ricade a valle. Facendo questa fatica molte volte, la sinistra ha ottenuto grandi risultati nel Novecento. Ora quel masso va riportato in cima.