Quando, nell’autunno del 2000 l’allora cancelliere Schüssel, esponente del Partito Popolare aprì la strada del governo di Vienna ai liberal-nazionali dell’Fpö di Haider spiegò che per quella via si sarebbe neutralizzata la spinta della nuova destra.

La recente affermazione elettorale di Sebastian Kurz, tra gli eredi di Schüssel alla guida dei democristiani, segnata dal recupero delle parole d’ordine degli ultranazionalisti su migranti, Islam e Europa, indica come sia avvenuto esattamente il contrario.

Da un lato la progressiva «normalizzazione» degli estremisti di destra e del discorso razzista nel dibattito pubblico, accompagnata dall’acquisizione costante di temi securitari e identitari – deriva da cui non è esente anche una parte del centro-sinistra -, ha finito per legittimare tali partiti.

Dall’altro, le ripetute aperture di credito del mondo conservatore verso questi ambienti e il prendere corpo di un’inedita area di «destra della destra» dove presunti moderati e estremisti conclamati intrecciano scambi, relazioni, progetti, si è tradotto in un significativo spostamento verso destra dello stesso «centro».

Al punto che al termine del ciclo elettorale del 2017 si può rilevare come la temuta affermazione dei «populisti di destra» sia spesso stata evitata ma al prezzo di veder trionfare partiti conservatori che ne hanno di fatto sposato i programmi.

Così, se all’inizio del nuovo millennio il varo della coalizione Schüssel-Haider faceva seguito a quanto accaduto nel laboratorio italiano della «destra plurale», formatasi sotto l’egida di Silvio Berlusconi fin dagli anni Novanta, cui il Ppe ha ribadito del resto il proprio sostegno nel vertice che si è svolto giovedi a Bruxelles, oggi il profilo e la strategia di Sebastian Kurz, che si appresta a governare con l’estrema destra e ad applicarne in gran parte le odiose ricette, rappresentano tutt’altro che un’eccezione.

Appartengono infatti al Partito popolare europeo sia il movimento Fidesz dell’ungherese Viktor Orbán, fautore della «democrazia illiberale», che il Partito conservatore norvegese di Erna Solberg che ha appena rinnovato il proprio patto di governo con il Fremskrittpartiet, movimento nazionalista e anti-immigrati a cui era iscritto lo stragista di Oslo, Anders Behring Breivik.

Del resto, proprio in Scandinavia, per 10 degli ultimi 16 anni, l’esecutivo di centrodestra danese guidato dai liberali, che governano ancora a Copenhagen, ha vissuto solo grazie all’appoggio esterno del Partito del popolo, già alleato del Front National francese, che ha imposto una drastica stretta in materia di immigrazione e diritto d’asilo.

Liberal-conservatore è inoltre anche l’olandese Mark Rutte, riconfermato primo ministro, che ha fermato gli islamofobi di Geert Wilders, legati a Le Pen, ma grazie ad una campagna elettorale talmente ispirata alla xenofobia da far parlare Amnesty di «retorica tossica».

E alla famiglia liberale appartiene anche l’Azione dei Cittadini Insoddisfatti, Ano 2011, il movimento populista guidato dal miliardario Andrej Babiš, soprannominato dalla stampa locale «Babisconi» per le similitudini con il fondatore di Forza Italia, che i sondaggi indicano come probabile vincitore delle elezioni in corso nella Repubblica Ceca.

In Francia, dove alcuni politologi hanno paragonato Kurz a Nicolas Sarkozy, che ha inseguito a lungo l’estrema destra, il probabile nuovo leader dei Républicains, anch’essi nel Ppe, Laurent Wauquiez, ha spiegato di volere «una destra che sia veramente di destra: patriottica e contro immigrazione e islamismo».

Quando poi la concorrenza sui medesimi contenuti non è sufficiente, il centrodestra rischia di dividersi proprio sull’adozione o meno di politiche in linea con gli estremisti.

Come ha indicato la Brexit, che ha spaccato i Conservatori britannici, per altro già partner in Europa dei nazional-cattolici polacchi di Diritto e giustizia che governano a Varsavia dal 2015, o lo stesso caso dell’Alternative für Deutschland che raccoglie anche i consensi dei neonazisti ma è guidata da ex esponenti della Cdu di Angela Merkel, partito da cui provengono anche metà dei circa 6 milioni di voti che ha raccolto di recente.