La creazione secondo Alex de la Iglesia
Intervista Parla il regista spagnolo tra gli autori del film a episodi «Words with gods»: «Il cattolicesimo è l’unica religione che considera l’uomo non come perfetto. È l’unica religione per cui è cosa buona sbagliare»
Intervista Parla il regista spagnolo tra gli autori del film a episodi «Words with gods»: «Il cattolicesimo è l’unica religione che considera l’uomo non come perfetto. È l’unica religione per cui è cosa buona sbagliare»
Non è consueto vedere un gruppo di autorevoli registi tutti riuniti a parlare di argomenti spirituali, di questioni come il perdono, la penitenza, il riscatto, la devozione. Sarà il particolare momento storico o l’arguzia di Guillermo Arriaga che li ha messi insieme perché realizzassero ognuno secondo la sua ispirazione Words with Gods, il film che ha messo insieme tante diverse religioni da comporre un mosaico di interrogativi.
Lo scrittore Vargas Llosa dopo aver visionato i corti un certo numero di volte ha indicato la giusta scansione, Peter Gabriel ha composto le musiche. I nove sono: Hector Babenco, il feroce cantore delle metropoli brasiliane, Bahman Gobhadi iraniano di religione sunnita cresciuto in un paese sciita con un episodio di inusitato umorismo, due fratelli siamesi uniti per la testa, uno estremamente pio e l’altro desideroso di incontri sessuali (poche volte si è visto un film iraniano con senso dell’umorismo espresso tanto liberamente), Amos Gitai che da sempre ci avvicina al mistero, alla storia e al presente del popolo di Israele, Emir Kusturica che si mette lui stesso in scena come monaco ortodosso bisognoso di espiare peccati trascinando su per il monte sacchi di pietre che poi lascerà rotolare.
E poi l’induismo di Mira Nair con le sue divinità sfrattate dalla casa dei ricchi, Hideo Nakata affacciato sul baratro dello tsunami giapponese. In apertura l’australiano Waiwick Thornton che compone il mistero della nascita, e nel finale la pioggia di di sangue che conclude l’episodio sull’ateismo di Arriaga, il suicidio di Dio. «Sono nato e cresciuto come ateo, dice Arriaga, mio padre era agnostico e mia madre cattolica ma in realtà senza esserlo. Non ho mai sentito parlare di peccato. Odio essere convertito, detesto che la gente mi dica cosa devo fare».
Ma intanto ha creato una vera e propria «ecclesia», un’assemblea di cineasti che riflettono su tematiche inusuali, una sinfonia, come ha definito l’opera Babenco, un’esperienza di comportamento molto importante. Si può anche essere atei, dice Alex de la Iglesia, l’importante è avere un dialogo con la propria anima e il sorriso è il modo più intelligente di riflettere. Anche per questo oltre che per motivi di maggior conoscenza teologica andiamo a incontrare Alex de la Iglesia, un nome che già indica la sua appartenenza, il regista spagnolo di memorabili film come El dia de la bestia, Perdida Durango, La comunidad, Crimen oerfecto, La ballata dell’odio e dell’amore (premio alla miglior sceneggiatura e Leone d’argento alla miglior regia nel 2010, otto premi Goya per Le brujas de Zugarramurdi, ultimo appena visto alla Mostra, il documentario sfavillante su Lionel Messi (cosa ne pensi della mano de dios? ci viene da chiedergli).
Ha realizzato per Words, La confessione: un assassino incontra un tassista che lo scambia per un prete e lo prega di venire a casa sua per dar l’assoluzione al padre moribondo che non vuole pentirsi, un rocambolesco capovolgimento di ruoli come solo lui sa mettere in scena. Un assassino e un miscredente che ha parecchio sulla coscienza messi a confronto con un finale apocalittico. Gli diciamo che Fellini sosteneva che attraverso lo schermo si può cogliere la presenza di Dio: «Quando fai un film costruisci un mondo secondo le tue regole, la gente si ama e si odia se tu lo vuoi. Il mondo è come tu lo vuoi, con i colori che vuoi tu, vivono nelle città che ti immagini. Hai la sensazione di essere Dio, non solo per la creazione del film, ma perché sei circondato da gente che vogliono che le cose siano come tu le vuoi. È una incredibile sensazione di potenza creativa. Dirigere un film a parte la sofferenza, è il pù grande dei piaceri, un miscuglio di passione, di creatività, in un tempo molto limitato».
Sette giorni come la creazione? «Io ci ho messo due giorni, dice, un giorno e una notte. C’è un gran ritmo, oltre alla componente di stress. Conosco molti grandi registi ma non sanno girare una sequenza in un’ora. Per fare questo occorre prendere decisioni rapide, occorre preparazione, e anche se studi tutto accuratamente, devi saper risolvere velocemente i problemi. Questo ti dà un’ansietà e una carica di adrenalina mentale, mentre costruisci quel mmondo a una velocità vertiginosa, prevedendo i problemi per il giorno dopo. E in più non sto maneggiando una matita o un computer, ma persone, bisogna saperlo fare per trarre il massimo da tutti e da te stesso. E non quello che loro vogliono darti, ma quello che tu chiedi a loro. Il modo migliore per farlo è essere un dio dell’inganno, un dio ’mentiroso’, devi convincere gli attori che le idee sono venute a loro».
Il tuo è l’episodio dedicato al cattolicesimo: «Quello che mi affascina del cattolicesimo è il perdono dei peccati, è l’unica religione che considera l’uomo non come perfetto, né come qualcuno che tende alla perfezione. È l’unica religione per cui è cosa buona sbagliare. Peccare fa parte della condizione umana. È una religione che ha al suo interno una contraddizione che mi fa impazzire: per salvarsi, per andare in paradiso devi essere buono, non devi peccare e devi seguire i comandamenti. Ma se tu sei cattivo e sei un peccatore, se cedi ai vizi, se rubi, se fai uso di droghe, dio ti ama di più, come il ladrone che sta accanto a Cristo. Chi si pente è molto più vicino a dio di chi si comporta bene. Chi si comporta bene non sarà mai tanto amata da dio di una canaglia che si pente. È la religione che dà più speranza».
Avete discusso insieme con gli altri registi? «No, ognuno ha girato per conto proprio, Guillermo Arriaga è stato il nostro punto di riferimento, parlavamo con lui dei nostri film e lui ci dava il suo parere. È stato il regista dei registi». Tu hai ricevuto una educazione cattolica? «Ho studiato nel collegio degli agostiniani e poi ho studiato filosofia e teologia». Cosa pensi della mano de dios? «Non mi piace che intervenga un deus ex machina, preferisco che sia l’uomo a trovare una soluzione. È un po’ come ha agito Guillermo Arriaga con noi, sa che in qualche modo siamo d’accordo con lui».
Un commento su Papa Francesco? «Negli ultimi dieci anni è la cosa migliore che sia accaduta all’interno della Chiesa, ha cambiato la struttura della Chiesa al suo interno e le persone che prendono decisioni. È una persona aperta, è moderato, gli piace dialogare, dibattere. Inoltre è un uomo attivo. Dice e fa».
Gli episodi iniziano nel silenzio del deserto australiano, poi compare la parola, l’umorismo nero e alla fine la risposta a qualche domanda, la morte che forse è la morte del padre, anche se poi la vita continua con la conoscenza.
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