Come leggere le dinamiche attuali del potere? E perché è così complicato pensare una resistenza contro di esso? Perché il potere attuale non è restrittivo, non è una semplice forza negativa contro cui opporsi con una forza di senso inverso: in altri termini, non ha la legge come proprio strumento caratteristico. Al suo posto subentra la norma, su cui si concentra il bel testo del filosofo francese Pierre Macherey Il soggetto e la norma ora pubblicato per Ombre Corte (a cura di Girolamo De Michele, pp. 215, euro 18), del quale era disponibile in italiano, sempre per Ombre Corte, il capitolo «Il soggetto produttivo» (sul quale vedi la recensione di Sandro Mezzadra sul manifesto del 13/06/2013).

Le leggi, strumenti degli Stati sovrani, sono restrizioni che si applicano a ciò che è, sono una forma indifferente all’oggetto al quale vengono applicate e ciò che non vi si sottomette viene sanzionato, seguendo una logica binaria d’esclusione stabilita una volta per tutte; allo stesso tempo, per quanto possa essere violenta la loro imposizione, lascia uno spazio di libertà nel quale è possibile decidere (anche solo nei confini della propria coscienza) se obbedire o meno. Le regole giuridiche sanzionano, ma la servitù che esigono è sempre, in un qualche modo, volontaria (seguendo i termini del testo di Étienne de La Boétie).

LE NORME, invece, hanno un potere costituente e creano il campo in cui agiscono. In questo caso la regola prende gradualmente possesso dell’oggetto a cui si applica, trasformandolo in modo da far apparire il proprio esercizio naturale, neutrale e indipendente dalle decisioni umane. Esempi di questa creazione, che è al contempo anche controllo e sfruttamento, si ritrovano nel dialogo che Macherey instaura fra Karl Marx e Michel Foucault attorno al concetto di forza lavoro, nato parallelamente alla società delle norme – non a caso: le norme non sono le leggi dello Stato, la cui genesi è precedente.
L’invenzione cruciale del capitalismo non è la macchina a vapore che ha dato il via alla rivoluzione industriale, ma la forza produttiva, che non preesisteva al proprio sfruttamento e il cui uso (la sua trasformazione cioè da potenza ad atto) è ceduto dal lavoratore al capitalista che ne sfrutterà la capacità creatrice di valore ben oltre il valore necessario al mantenimento della forza lavoro a cui corrisponde il salario pattuito: per questa sua facoltà propulsiva, si sottolinea che l’espressione corretta da usare non è «forza produttrice», ma appunto «forza produttiva».

Non si tratta però evidentemente di una semplice invenzione concettuale; la forza produttiva è il risultato «di una creazione tecnica collegata all’installazione di specifiche procedure di potere»: è qui che Macherey fa intervenire Foucault e il paradigma delle norme. Queste hanno una dimensione performativa che trasforma l’oggetto a cui si applicano cogliendolo per come esso «può divenire, quando se ne migliorano le potenzialità».

METTENDO AL CENTRO dello sfruttamento capitalista la forza produttiva, unendola alla normatività, è possibile spiegare come il capitalista eviti l’ostacolo dei limiti insuperabili nell’estrazione del plusvalore assoluto, dati da un lato dall’impossibilità di allungare oltre le 24 ore la giornata lavorativa e dall’altro dalle proteste operaie che impongono una diminuzione del tempo di lavoro.

Di fronte a questi limiti, il capitalista aumenta la produzione di plusvalore relativo sfruttando le potenzialità della forza produttiva che possono essere intensificate se viene esercitata una pressione e un controllo. Attraverso le discipline si produce la forza lavoro «in quanto disposizione soggettiva oggettivamente uniformata alle condizioni di produzione» e la si potenzia permettendo di diminuire il valore della forza lavoro a cui si accompagna (in un apparente paradosso) un aumento della «quantità di valore prodotto dall’attività produttiva».

La creatività delle norme dà luogo anche all’assoggettamento (modo d’azione proprio delle norme) che costituisce i soggetti: i quali quindi non precedono l’azione delle norme stesse. Questo modo di interpretare il potere avvicina Foucault ad Althusser, che nell’ideologia vedeva appunto un processo di assoggettamento paragonabile perciò alle norme studiate da Foucault.

TANTO L’IDEOLOGIA quanto la norma si distinguono dalle tecniche di dominio che intervengono a cose fatte; norme e ideologia elaborano «una configurazione globale» in cui c’è spazio solo per soggetti a cui non pre-esistono gli individui: «si è sempre-già-soggetto», riprendendo un’espressione di Althusser. Facendo giocare quest’ultimo con le critiche che Judith Butler gli rivolge (in La vita psichica del potere) e con Frantz Fanon, Macherey ricorda come l’ideologia ha perso la propria forza nell’analisi filosofica e politica per il proprio carattere di idea e di rappresentazione, al posto della quale si preferisce invece sottolineare la violenza con cui il potere attraversa e disciplina i corpi.

In questo testo si propone comunque di prenderla nuovamente in considerazione, coniando il termine «infra-ideologia». Questo vuole indicare la «manipolazione dell’ordine simbolico» proprio di una società delle norme, che è atta a nascondere che i soggetti sono il risultato di una produzione che funziona assegnando loro un posto all’interno di un campo di possibilità in cui sono attesi e in cui c’è spazio solo e unicamente per dei soggetti delle norme. Su questo processo artificiale l’ideologia poggia una maschera che lo fa apparire necessario, indipendente da una condizione storica del potere: in una parola, lo fa sembrare naturale, consentendogli così di non dover giustificare la propria azione.

IL POTERE DELLE NORME è particolarmente insidioso per il suo statuto non meramente negativo, ma positivo e creativo. Formando gli elementi che regolano, le norme ne determinano anche il campo di possibilità: se quindi le leggi si applicano a un reale già dato, le norme «si esercitano sul possibile», trasformando gradualmente gli oggetti cui si applicano in direzione di ciò che essi possono divenire.
L’assoggettamento non implica solo la costituzione di soggetti per le norme, ma anche che venga loro imposto un virtuale in cui essi si sviluppano dandogli realtà. Riprendendo Huber L. Dreyfus e Paul Rabinow (La ricerca di Michel Foucault, La Casa Usher), le norme sono lo strumento dell’azione di governo; il che significa «strutturare il campo d’azione possibile degli altri».

Se il soggetto è il risultato delle norme, attraverso un assoggettamento che è «sempre già dato», è possibile pensare una resistenza? Secondo Macherey, sì. Anzi, è un compito che ci coinvolge tutti, perché i fenomeni del dominio «non sono mai a senso unico», ma contengono sempre la condizione del proprio rovesciamento. E allora bisogna mettere in conto che non si possa dare, in questa strutturazione del potere, una soluzione definitiva. Ci si deve muovere nella prospettiva di una continua lotta per il cambiamento e la trasformazione delle norme, sperimentando e inventando nuove forme per queste norme; attraverso lotte parziali, resistenze sparse da organizzare che contrastino lo sfruttamento e la povertà non chiedendo un ritorno alla sovranità – affidando le proprie speranze in uno Stato che in realtà è già messo fuori gioco dall’attuale struttura del potere.

LE LOTTE devono dunque farsi carico di inventare piani sovranazionali – si pensi a Ni una menos, la cui forza è data proprio dall’andare ben oltre la richiesta di tutela delle donne da parte di uno Stato. In questa direzione, Macherey suggerisce di approfittare delle peculiarità del soggetto che scaturisce dall’esaurimento del cogito (decretato da Foucault in Le parole e le cose), che non ha identità sostanziale indipendente, ma una forza creatrice che gli permette di darsi le sue proprie norme (al di là della richiesta di leggi e diritti): diventando in prima persona normativo e imponendo un allentamento delle maglie del potere.