All’inizio ci sono solo le bandiere rosse (le tantissime di Sel listate a lutto per i morti nel Mediterraneo, le altrettante del Prc, del Pdci, il mare della Fiom, della Cgil che pure ufficialmente non ha aderito, quelle degli studenti dell’Udu). All’inizio, prima della partenza del corteo, quando arrivano anche le decine di bandiere nuove di zecca di Rivoluzione civile e dell’Italia dei valori, piazza della Repubblica sembra una foto già vista: quella delle cinquanta sfumature della sinistra.

Poi però arrivano le magliette blu notte della Costituzione scritta come se fosse una costellazione di stelle che brillano. Le indossano tutti, i metalmeccanici, i professori, gli studenti, quelli dei comitati dell’acqua pubblica. E la piazza si trasforma fisicamente in una costellazione, in una «coalizione sociale di vincenti», dirà poi il professore Rodotà: per una volta non si parte dalle sconfitte ma dalle vittorie dei referendum sull’acqua e il nucleare del 2011, o quelle della Fiom per il reintegro degli operai ingiustamente licenziati.

Ed è proprio «la costellazione», e quei cartelli blu ciascuno con un articolo diverso della Carta, che trasformano un corteo come potrebbero essere tanti nella «via maestra» per difendere la Carta, una fiumana umana in direzione dell’applicazione dei diritti costituzionali. Più avanti, forse, questa fiumana arriverà al referendum sulle riforme costituzionali che la «strana maggioranza» di centrosinistra-destra vuole fare in parlamento cominciando con il piede sbagliato, uno «strappo» all’art.138. Sono in tanti, ma ne servono di più e soprattutto che si «tengano per mano», chiede Maurizio Landini dal palco. Come, appunto, hanno fatto due anni fa i 27 milioni che hanno votato per la pubblicizzazione dell’acqua e che ancora aspettano l’applicazione di quel risultato. «Andiamo avanti», spiega Mauro Solmi, del Forum di Modena. «Quelli della Costituzione sono principi imperativi e se questa classe politica non ce la fa ad applicarli, si faccia da parte». Ci sono le bandiere bianche dei No Tav portate da pacifici pensionati torinesi. Sul palco viene letto il saluto di Sandro Plano, presidente della comunità montana Valle di Susa e Val Sangone: «Da dieci anni il diritto-dovere di tutelare il nostro territorio, la sua vivibilità, le previste possibilità di autogovernovengono sistematicamente messe in discussione». «Imporre militarmente le grandi opere è già manomettere la Costituzione», spiegano gli arancioni di Alba (alleanza lavoro benicomuni ambiente). C’è un po’ di tutto nei cartelli («la via maestra è la rivoluzione», «la via maestra è il socialismo», dal Pincio cala anche uno striscione «Rompiamo il silenzio contro la tortura», il comitato non vuole essere in questo corteo ma insomma c’è). Fra le tante magliette di Libera contro la mafia e quelle dell’Arci sfilano le mille vertenze della crisi che invocano l.’art.1. Decine gli uomini e le donne con il cartello «Disoccupati over 50», ciascuno ha una storia durissima, la sua: Domenico, di Milano, tipografo, «quando l’azienda ha chiuso mi mancavano 30 giorni alla pensione ma in quel momento la legge Fornero ha cambiato le regole e ora mi mancano 2 anni e 4 mesi. Ma chi mi assume, a 58 anni?». Maurizio, ancora Milano: «Disoccupato, in mobilità, facevamo carta abrasiva, siamo stati licenziati, a 56 anni che facciamo? Siamo soli».

È proprio questa solitudine che vuole ancora combattere Piero Guelfi, nome di battaglia Danilo, 86 anni. Ha portato il vessillo commovente della Brigata Garibaldina Muccini, con i suoi dell’Anpi di Sarzana, anche se il suo presidente nazionale non è voluto scendere in piazza. Lui ha voluto esserci, come tanti partigiani, ex combattenti e non. Come Luigi Fiori, nome di battaglia Fra Diavolo, 93 anni, a metà corteo si ferma ché non ce la fa, ma ha voluto guidare anche stavolta i suoi «disobbedienti» dell’Anpi di Lerici: «Ma non ci divideremo».
Davanti, lo striscione solitario dei sostenitori di Pippo Civati, candidato alla segreteria Pd, fra i pochissimi dem che aderiscono. Arriva anche Massimo Brutti, viene da un’assemblea dell’area Bettini dal cui palco anche il presidente del Lazio Nicola Zingaretti ha salutato «la bella manifestazione». I democratici brillano per la loro sterminata assenza. Ma da ora con questa nuova «coalizione» dovranno fare i conti. E non perché sia un embrione di nuovo partito, come hanno inutilmente provato a raccontare.

Non è un partito, è una catena umana che da domani proverà «a tenersi per mano». Cittadini con altri cittadini. E in fondo, disobbedienti sono anche quei pochi grillini che sfilano, e che registrano il dialogo con la cronista e fotografano le pagine del taccuino, tanto poco si fidano. Spiega un militante di Frosinone: «Difendiamo la Costituzione in parlamento e fin sopra i tetti, certo che siamo qui. L’adesione del movimento è scontata». Quella di Grillo no, ma qui la polemica porta fuori strada, lontano dalla «via maestra».