Qualche giorno fa, a Firenze, è arrivato per il forum sul “Mediterraneo frontiera di pace”, l’ex ministro dell’interno Minniti, l’autore del Memorandum Italia-Libia, che ha finanziato i lager e le relative torture. L’ex ministro è oggi in Leonardo, uno dei maggiori venditori di armi del mondo. Era un incontro di vescovi e sindaci per parlare di un “mare di pace”. Di pace, con Minniti. E si faceva riferimento a La Pira – a La Pira, con Minniti. Papa Francesco doveva arrivare ma non è arrivato: si è risparmiato incontri imbarazzanti, forse anche con qualcuno della sua “ditta”, come la chiamava Don Milani.

In contemporanea Mediterranea Saving Humans organizzava con Luca Casarini un incontro che dava la parola a uno dei rifugiati sopravvissuti alla detenzione nei lager libici.
In sala, nel cuore e nell’anima, c’è la tristezza di questo tempo ancora di guerra, l’angoscia di fronte alla geopolitica del potere, dove l’antico imperialismo segnala che il secolo passato non è per niente breve.
Parla David, un ricercato. E il suo racconto fa venire i brividi. Forse dice cose che chi voleva sapere già sapeva. Ma le storie, le vite raccontate, sono un’altra cosa. È questione di esistenza, di umanità, quindi davvero di politica. È la vita di qualcuno che ha un nome e una vita da raccontare. Pacatamente ti spiega che con i soldi delle nostre tasse si finanziano quei lager, quelle torture, le bande armate chiamate guardia costiera.

E la vita di una persona che ti guarda e ti parla non è una somma indistinta di numeri. Minacciosa, magmatica, nemica. Ha un volto, un nome, è tutta un’altra storia.
Dalla discussione viene fuori un disagio, una sofferenza. Ma forse alla fine anche una specie di terapia.
C’è lo sdegno ovviamente, molti dicono che quelle parole fanno accapponare la pelle. E c’è anche il senso di impotenza, di radicale insufficienza di quello che facciamo, mai all’altezza dell’orrore, del disumano. Un impegno inchiodato alle parole, con il rischio di salvare davvero solo le nostre coscienze. Forse.

Alessandro Santoro, prete delle Piagge, dice che qui ci conosciamo tutti, siamo noi e noi siamo così: con il dovere di esserci, il senso dell’atto dovuto. Ma poi? Bisognerebbe parlare con quelli/e che non ci sono, incontrare gli assenti. Essere radicalmente altro e fare diventare il mondo altro, almeno un po’. Una specie di sovversione esistenziale.
Luca Casarini racconta anche lui, in un certo senso, la sua storia, un po? da Holden Caulfield (Catcher in the Rye): quello che acchiappa i bambini che da un campo di segale cadono nel dirupo. E viene fuori la proposta, un po? buffa, di radicale ingenuità?, di organizzare una cospirazione del bene.
Ci si mette sulle frontiere, si attraversano, si fanno ponti. Si aiutano le persone nei lager a fuggire e poi gli si va incontro e si portano via.
Una sorta di politicizzazione dell’etica.

Dice che la vecchia nave, la Mare Jonio, si vede che è rinata, è felice, lo fa capire. Vicini a terra ti ordinano “le autorità” di fermarti, di rispettare i Sacri Confini. Tu gli comunichi che neanche per idea, noi prima si attracca, si fanno scendere tutte e tutti, poi voi fate quello che vi pare. Prima gli umani.
Ti processano, magari ti portano anche in galera per un po’. Chi se ne frega. Alcuni di quelli salvati vivono, lavorano, vanno a scuola. Ti chiamano ogni tanto per salutarti e allora sei felice, come la nave. Vivi finalmente anche tu. Le cose che si fanno hanno un senso, vincono il disincanto, la “malinconia di sinistra”.
A un lavoro così arrivano a dare una mano anche ragazze e ragazzi, gli ontologicamente assenti dai convegni istituzionali e dai partiti. Dalla politica come antica militanza. Quello che si fa deve avere senso per chi lo fa, aiutare altre e altri, dunque dare un po’ di felicità.

Quel dolore nello stomaco che si prova ad ascoltare certe storie ha a che fare con l’amore viscerale delle madri per figlie e figli. È una radice dell’umano. Che basta e avanza per combattere il disumano.
Per essere sovversivi, cospiratori, naviganti felici, nell’etica del mare.