Piergiorgio Tiboni, che abbiamo salutato mercoledì 22 marzo al cimitero di Lambrate, è stato leader della Fim, del sindacato milanese operaio e di base. Fondatore della Cub. Un sindacalista con grandi intuizioni e capacità di sintesi. Fondò, con risorse umane e finanziarie della Fim Milanese, Radio Popolare e la rivista Azimut che si avvalse degli straordinari scatti di Uliano Lucas sulla realtà operaia e sociale dell’epoca.

È stato un sindacalista seguito e stimato dai Consigli dei delegati degli anni 70-80, e la sua lungimiranza politica lo portò a guardare oltre il mondo operaio per collegarsi e coinvolgere quello della comunicazione, dell’università, della sociologia e dell’economia, fino a collegare le vicende italiane a quelle internazionali.

Anche a Torino, inizialmente in sede Cisl, prese voce una Radio Popolare. Da quelle due radio iniziarono i primi passi giornalisti che si affermarono poi in Rai e in quotidiani nazionali. Radio Popolare e Azimut creavano controinformazione e cultura alternativa al pensiero dominante.

Giorgio è stato un sindacalista che riduceva ai minimi i margini della delega; lo ricordo come un tenace negoziatore, esperto e documentato nell’applicazione delle nuove regole del processo del lavoro. Un trascinatore, a volte spigoloso ma mai offensivo, aveva seguito perché possedeva chiare idee e coraggio infinito, pronto ad osare anche nelle situazioni più difficili. È stato un riferimento per molti.

Possiamo ricordarlo come una roccia d’uomo che non ha lesinato la sua vita nello spendersi per gli altri, un sindacalista controcorrente sempre a contatto con la propria base e diffidente con quel sindacato dell’immagine e del politicamente corretto che prendeva piede scordando le origini.

Quando il vento decisamente cambiò negli anni ‘80, Tiboni non seguì il nuovo corso sindacale perché non concepiva la «trattativa e l’accordo in peius, ossia firmare intese con rinunce alle conquiste frutto di accordi e lotte (fase 1) in cambio di futuribili accordi sull’occupazione (fase due).

Non certo per principio: per le tante discussioni (e anche divergenze) che ho avuto con lui, ho sempre creduto che la sua diffidenza ad accordi di scambio fosse conseguente al deterioramento del gentlemen agreement con le controparti, che Giorgio sintetizzava così «…quelli scrivono gli impegni della fase due con l’inchiostro simpatico». La storia gli ha dato ragione.

Così nella vertenza Alfa-Lancia (da ricordare che fu un acquisto sottocosto dell’Alfa da parte Fiat, che sbarrò la strada alla straniera Ford) Tiboni si mise a fianco di chi si schierò per il No al referendum sindacale. Quella vicenda dell’accordo Alfa-Lancia (1987) maturò la drammatica rottura tra la Fim Milanese e la Fim Nazionale, che prima ottenne – dai probiviri nazionali – la sospensione per 8 mesi di Tiboni e dopo il suo ritorno procedette al commissariamento.

I capi di accusa? Per la sospensione l’aver offeso l’onorabilità dei dirigenti (un manifesto ironico degli operai Alfa), una sorta di «lesa maestà» che, ieri come oggi nel sindacato e nei partiti, vale per mettere a tacere il senso critico, annientare il valore del dissenso, con l’avallo di probiviri o di garanti di ultimo conio. Per il commissariamento gli fu contestato l’utilizzo improprio delle risorse del sindacato per Radio Popolare e Azimut!

Sarebbe interessante ripercorrere più compiutamente le vicende di allora alla luce di quanto avvenuto (il dossier sul caso Tiboni è sul n.36-37 di Azimut 1987), e avviene ai giorni nostri. La battaglia di Giorgio Tiboni è sempre attuale, ha ben vissuto la sua vita.

* Adriano Serafino, già segretario generale della Fim-Cisl e Flm Torinese e segretario della Cisl Torinese